Dignità della donna

«La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna. Le donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità» (testo dell’omelia di papa Francesco per la festa di Maria Madre di Dio).

Occorre che le donne prendano consapevolezza del loro privilegio e si spendano non solo per eliminare ogni forma di sopraffazione e violenza nei loro confronti, ma anche nei confronti di coloro che non possono difendersi, degli ultimi, a partire proprio dai figli nel grembo materno o anche in una provetta di laboratorio. Se le donne sapranno immettere nella società l’attenzione per la cura della vita dal concepimento, il mondo - ha ricordato Francesco - si ritroverà più unito e in pace. La vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte. Così la vita nel tempo è segno della vita eterna, che dice la destinazione verso cui siamo incamminati. È solo vivendo in prima persona questa esperienza che la logica della nostra esistenza può cambiare e spalancare le porte a ogni vita che nasce. Per questo papa Francesco ci dice: «L’appartenenza originaria alla carne precede e rende possibile ogni ulteriore consapevolezza e riflessione». All’inizio c’è lo stupore. Tutto nasce dalla meraviglia e poi pian piano ci si rende conto che non siamo l’origine di noi stessi. «Possiamo solo diventare consapevoli di essere in vita una volta che già l’abbiamo ricevuta, prima di ogni nostra intenzione e decisione. Vivere significa necessariamente essere figli, accolti e curati, anche se talvolta in modo inadeguato». È vero. Non tutti fanno l’esperienza di essere accolti da coloro che li hanno generati: numerose sono le forme di aborto, di abbandono, di maltrattamento e di abuso. Davanti a queste azioni disumane ogni persona prova un senso di ribellione o di vergogna. Dietro a questi sentimenti si nasconde l’attesa delusa e tradita, ma può fiorire anche la speranza radicale di far fruttare i talenti ricevuti (cfr. Mt 25, 16-30). Solo così si può diventare responsabili verso gli altri e «gettare un ponte tra quella cura che si è ricevuta fin dall’inizio della vita, e che ha consentito ad essa di dispiegarsi in tutto l’arco del suo svolgersi, e la cura da prestare responsabilmente agli altri». Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta, e di cui la nostra carne, con le sue relazioni e incontri, è testimonianza, potremo aprire la porta agli altri viventi. Nasce da qui l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia. La cura del corpo, in questo modo, non cade nell’idolatria o nel ripiegamento su noi stessi, ma diventa la porta che ci apre a uno sguardo rinnovato sul mondo intero: i rapporti con gli altri e il creato. L’identità di una persona sta nel distinguersi nel riferimento agli altri (diversi da sé), cioè nel vedere la differenza, ma anche nel fatto che «…la differenza si stabilisce attraverso un riferimento reciproco che, al di là della negazione logica, richiede riconoscimento e scambio» (Donati 2010: 23). “Genio della donna” espressione chiaramente illustrata da Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne (n. 9), dove egli, affermando la rilevanza socio-etica delle relazioni umane, sostiene che «in tale dimensione, spesso sviluppata senza clamore, a partire dai rapporti quotidiani tra le persone, specie dentro la famiglia, è proprio al “genio” della donna che la società è in larga parte debitrice» e che nello spendersi nei rapporti umani, soprattutto a favore dei più deboli e indifesi, le donne realizzano «una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società» (Lettera alle donne). Nell’esortazione apostolica Mulieris dignitatem, Giovanni Paolo II evidenzia che il “genio” della donna è quel punto focale intorno a cui si coagulano tutte le riflessioni sulla missione che ogni donna è chiamata a compiere nella società (e nella Chiesa) a servizio della persona umana (Scabini 2014: 92). «Il “genio” non va confuso con il tradizionale stereotipo della femminilità, ma va assunto come espressione al femminile del triplice munus – la dignità sacerdotale, profetica e regale del cristiano – e come partecipazione e coinvolgimento delle donne in vari ambiti (arte, scienza, religione, economia, salute, cultura, politica, educazione, famiglia) attraverso l’apporto specifico della loro “femminilità”» (Rosanna 2016: 62-63). «Si tratta della “cifra”, del valore della femminilità, della ricchezza della femminilità, del modo femminile di rapportarsi agli altri, tanto nella Chiesa, quanto nel mondo. Edith Stein afferma in proposito che “al centro dell’anima femminile sta l’affettività”» (Stein 1995: 51). «La donna ha il privilegio di una vocazione tesa a mantenere viva la sensibilità per l’umano. È la fiducia (insita anche etimologicamente nell’affidamento), nutrimento cruciale per le relazioni umane e sociali che ella aiuta a portare in salvo, specie quando sono sopraffatte dalla sete di dominio» (Scola 1998).

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 30 Marzo 2020

Rubrica "Fede e Società"

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