"Una lettera dopo la tempesta": riflettiamo in vista della ripartenza

Un gruppo rappresentativo di persone impegnate nella promozione di una società accogliente, solidale e tollerante il 1’ maggio ha pubblicato “Una lettera dopo la tempesta”, che è possibile leggere integralmente sulla pagina facebook “Lettera nella tempesta”.

Come è possibile leggere dal comunicato che accompagna la lettera, essa «è un contributo per la riflessione sulle criticità del futuro a cui andiamo incontro in una fase avanzata dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19, ed è un sostegno a quanti in questa emergenza sono consapevoli dell’urgenza di una conversione e di decisioni che comportano scelte concrete, e che dunque già da ora si adoperano per una svolta, progettano la speranza di un futuro migliore e lavorano con determinazione per non ripetere gli errori del passato». Gli autori, primi fra tutti Pino Di Luccio (decano e vice preside della PFTIM, sez. “San Luigi”), Sergio Tanzarella (storico della Chiesa) e Giorgio Marcello (sociologo alla UniCal) affermano insieme a Papa Francesco: «La nostra speranza non è mero ottimismo, ma è un dono del Cielo: “Immette nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita” (papa Francesco, Omelia della Veglia pasquale). Per uscire dall’emergenza della pandemia da Covid-19 vogliamo percorrere la via della speranza insieme a tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti, laici e religiosi di ogni popolo, religione e di ogni confessione, che voltano le spalle alla morte e aprono il cuore alla vita: nella difesa della giustizia e nella promozione della pace, nell’amore premuroso per la casa comune del creato, nell’accoglienza rispettosa di chi è profugo e di chi è diverso, nell’assistenza gratuita al malato, nella difesa coraggiosa di chi è discriminato, nel sostegno solidale al bisognoso, nell’educazione e nell’accompagnamento dei giovani e di chi dalla mancanza di speranza è come immobilizzato». “Una lettera dopo la tempesta”, pur circolando da poco più di una settimana è stata già tradotta in venti lingue. Infatti, per sua caratteristica “ontologica” «si rivolge a tutte le persone di buona volontà, e con l’interdisciplinarietà ha un carattere interconfessionale, inter-culturale e internazionale con la consapevolezza non solo che una crisi globale abbia bisogno di una risposta globale, ma che l’attuale crisi globale richieda una modalità globale di affrontare le cause dell’ingiustizia, a sostegno soprattutto di coloro che sono più esposti agli svantaggi che la globalizzazione dell’economia può produrre: gli ammalati, i carcerati, i poveri, i forestieri, i migranti, gli anziani, i giovani». Dopo queste doverose premesse, tratte dal comunicato ufficiale che sta accompagnando la lettera in questi primi giorni di diffusione, vorrei soffermarmi su alcuni punti da essa evidenziati. Il testo meriterebbe di essere rafforzato e meditato in ogni punto, ma in questo caso non basterebbe un articolo, ed è per questo che mi limito solo ad alcuni aspetti, non perché altri siano meno urgenti o meno importanti. Nel paragrafo intitolato “La lettera precedente” si parla tra l’altro di «un sistema economico che è causa di disuguaglianze profonde, sia a livello planetario che a livello locale, e che semina morte». (Del resto già nella citazione di Papa Francesco riportata nell'introduzione si parla due volte di “morte”: “chi ha visto la morte e chi ha la morte nel cuore”). A tal proposito propongo di riflettere anche su situazioni purtroppo ancora gravi e attuali, come ad esempio quella riportata per l'ennesima volta alla luce dal tristemente famoso Comunicato stampa n. 220 del 1° aprile 2020 di “Verità e Vita”, che è possibile leggere anche in rete. Questa epidemia sta facendo sì emergere atti di grande eroismo, dedizione, solidarietà, condivisione, forte senso di comunità fra tutti gli uomini. Ma nello stesso tempo anche in questo contesto non manca chi ci sta avviando verso una implacabile azione di selezione e di morte. E questo purtroppo è un dato di fatto tristissimo e non trascurabile. Nel paragrafo intitolato “Per proseguire la ricerca” - come già accennato sopra - si afferma tra l’altro che «l’attuale crisi globale richiede una modalità globale di affrontare le cause dell’ingiustizia, a sostegno soprattutto di coloro che sono più esposti agli svantaggi che la globalizzazione dell’economia può produrre: gli ammalati, i carcerati, i poveri, i forestieri, gli anziani, i giovani». Nell'elenco degli svantaggiati, che giustamente qui è sintetico, ma che comunque li abbraccia tutti, rientrano gli indifesi, inglobando così anche i neonati e allo stesso tempo tutti coloro che per ignoranza non conoscono neanche i propri diritti, per cui sono più facilmente vittima di ingiustizie. Nell’ultimo periodo del paragrafo intitolato “Ripartire dall’ecologia integrale” si parla di «prospettiva di uno sviluppo umano, che consideri ogni persona come fine». Ebbene, è molto importante che sia stato affrontato questo particolare aspetto in modo esplicito e mi soffermo brevemente proprio sul concetto di persona nella sua globalità, intendendo con “nella sua globalità” due aspetti: la vita dal concepimento alla morte naturale e la persona considerata non solo nella sua dimensione fisica, biologica, organica, ma anche in quella psicologica e in quella che riguarda “altro” (e che potremmo definire, a seconda dei contesti, “spirituale”, “trascendente”, "metafisica",...). Concludo con una riflessione che di “Una lettera dopo la tempesta” mi suggerisce l’introduzione. Tutto il lavoro prende avvio dalla preghiera straordinaria di Papa Francesco del 27 marzo scorso, con la benedizione Urbi et orbi. Vorrei sottolineare l'universalità del gesto di Papa Francesco. Quella sera il cronista (stavo seguendo da Tv2000) che commentava ciò che stava avvenendo disse letteralmente: «Il Santo Padre Francesco concede l'indulgenza plenaria nella forma stabilita dalla Chiesa a tutti a tutti coloro che in questo momento ricevono la benedizione eucaristica, sia attraverso le diverse tecnologie di comunicazione, sia unendosi anche solo spiritualmente, con il desiderio, al presente rito di benedizione». Questo è un gesto molto significativo col quale il Papa supera barriere invalicabili, va oltre ogni immaginabile confine, abbraccia con la Misericordia di Dio ogni angolo della Terra, indipendentemente da qualsiasi limite. Non è che quell'abbraccio, quella benedizione, quella preghiera, “vale” solo se sei battezzato nella chiesa cattolica romana, se sei confessato e comunicato etc etc, ma vale semplicemente se ti unisci spiritualmente, se lo desideri. Trovo questa un’incredibile apertura epocale e il fatto che la lettera in questione parta proprio da quella sera del 27 marzo promossa da Francesco la rafforza nella sua intrinseca, e oserei dire genetica, apertura universale. Con ciò ovviamente non intendo che il gesto di Papa Francesco sia il nostro punto d'arrivo, ma un buon punto di ripartenza sì. Del resto è proprio da quella sera che parte la felice idea della lettera e tutto ciò che di bello ne consegue.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 12 Maggio 2020

Rubrica "Fede e Società"

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