«Le ragioni che conducono due individui ad unirsi, per formare una coppia, costituiscono uno dei misteri più affascinanti, ma anche più difficili da risolvere» – afferma icasticamente don
Salvatore Rinaldi, bioeticista impegnato nel Consultorio familiare, di ispirazione cristiana, “Il Girasole”, di Venafro, e docente alla Pontificia Facoltà dell’ Italia Meridionale (sez. San
Luigi). Da sempre, l’arte, la letteratura e gli stessi archetipi immaginativi si sono confrontati con l’idea stessa di coppia.
Ma tutto ciò si sgretola, sotto l’attento microscopio della psicanalisi e della prosaicità della vita quotidiana. Come ribadisce don Rinaldi: «Le esperienze infantili continuano a far sentire il loro influsso, anche in età adulta. Questa è cosa nota agli psicologi, fin dai tempi di Freud. Capita a molti di scoprire, prima o poi, che certe reazioni scattano automaticamente in determinate situazioni, pur non essendo giustificate dal contesto (dal qui ed ora, secondo una definizione degli psicologi transazionali.)». La realtà artefatta, idealizzata di una coppia perfetta, di un modello statico, quasi plastificato nella sua perfezione, mostra le sue smagliature, le sue crepe implacabili. Ogni investimento, anche quello amoroso è, inevitabilmente, transfert. Ogni rapporto, anche quello di coppia, è quindi “nevrosi di transfert”, sia sul versante della pulsione sessuale, sia su quello della tenerezza. «L’analisi transazionale – ha affermato don Salvatore – ha coniato, a questo proposito, il concetto di copione: tendiamo a vivere secondo una sceneggiatura inconscia, che è stata redatta nei primi anni di vita. A scuola, sul luogo di lavoro, nella vita di coppia come nei rapporti di amicizia, tendiamo a riportare le stesse modalità conflittuali, di rivalità, ribellione, paura o sottomissione che abbiamo vissuto in famiglia, nei rapporti con i genitori, con i fratelli, con le sorelle. Ovviamente, ciò non si verifica quando i rapporti sono stati sereni, non conflittuali, all’insegna della comprensione reciproca. Il che ci dice come le nostre attività raziocinanti non siano separate, nel bene e nel male, da emozioni, impulsi e sentimenti.» Una temperie di emozioni e di input, un magma, a volte contraddittorio ed indistinto, che la coppia si trova a dover disciplinare, incanalare, regolare, per poter vivere una relazione di coppia sana, non inquinata da tutto ciò che proviene da quella che, potremmo definire, la parte “oscura” del nostro essere. Tutto ciò, dunque, implica necessariamente anche un “riconoscimento” di quel che accade dentro di noi, per non incorrere nella negazione stessa dei nostri clichés comportamentali, mutuati sin dall’infanzia. Da qui, l’importanza del consultorio familiare di ispirazione cristiana, che implica un ascolto ed una disamina attenta delle dinamiche di coppia, con una riformulazione della stessa coppia, alla luce dell’uomo di Nazareth. Sarebbe troppo facile, infatti, liquidare, la coppia che si rivolge al consultorio, con frasi stereotipate, frutto di una logica che tende ad omologare tutto, ad appiattire tutto, persino in nome di un pensiero laico più democratico. Ma vivere alla luce dell’uomo di Nazareth, significa illuminare anche le parti nascoste del nostro io, riconoscerle, comprenderle, amarle. Come emerge anche da uno studio di don Rinaldi, la stabilità e la serenità di una relazione, può essere inquinata non solo da esperienze e da input negativi vissuti nell’infanzia, ma anche dall’essere stati eccessivamente viziati dalle figure genitoriali e dall’ambiente familiare stesso, che ha creato una distorsione nella percezione di sé. «Un’infanzia viziata – afferma– può condurre ad una serie di difficoltà, nella vita adulta. Se uno non ha consapevolezza realistica delle proprie possibilità e dei propri limiti…. In questo caso, si tratta di cambiare prospettiva e di assumere un’immagine più realistica di sé e degli altri, del proprio valore, dei propri e degli altrui desideri, sentimenti e stati mentali. Per ricorrere ad un termine molto usato dagli psicologi, si tratta di mentalizzare la realtà psicologica propria e altrui. Capire, senza sovrapporsi, ciò che succede dentro di sé e nella mente degli altri.». Lo stesso papa Bergoglio ha affermato: «Vi è la necessità di un catecumenato permanente, che non lasci soli i giovani sposi dopo la celebrazione delle nozze, perché soltanto messi di fronte alla quotidianità della vita insieme, che chiama gli sposi a crescere in un cammino di donazione e di sacrificio, alcuni si rendono conto di non aver compreso pienamente quello che andavano ad iniziare. E si scoprono inadeguati, specialmente se si confrontano con la portata e il valore del matrimonio cristiano, per quanto riguarda i risvolti concreti connessi all’indissolubilità del vincolo, all’apertura a trasmettere il dono della vita e alla fedeltà. Il più delle volte, invece, il messaggio cristiano è tutto da riscoprire, per chi è rimasto fermo a qualche nozione elementare del catechismo della prima Comunione e, se va bene, della Cresima. L’esperienza insegna che il tempo della preparazione al matrimonio è un tempo di grazia, in cui la coppia è particolarmente disponibile ad ascoltare il Vangelo, ad accogliere Gesù come maestro di vita. Mediante un sincero atteggiamento di accoglienza delle coppie, un linguaggio adeguato e una presentazione chiara dei contenuti è possibile attivare dinamiche che superino le lacune oggi molto diffuse: sia la mancanza di formazione catechetica, sia la carenza di un senso filiale della Chiesa, che pure fa parte dei fondamenti del matrimonio.». Di qui, l’importanza del consultorio come luogo di ascolto e come possibilità di risanamento di un conflitto. Chi se non Gesù può “fasciare le nostre ferite”, sanare i cuori lacerati? Come afferma don Salvatore: «Bisogna nutrirsi quotidianamente dell’uomo di Nazareth, attraverso la sua parola e la sua corporeità. Chi si nutre di Lui quotidianamente, si apre alla quotidianità. Se il Padre è responsabile della creazione, della tua creazione, della mia creazione. allora, ne viene fuori un essere voluto da Dio. Noi partecipiamo alla continuità stessa della creazione. All’interno di un consultorio, ci interessa seguire Colui che è venuto a servire. Noi stiamo seguendo Cristo, perché solo Lui può redimere. E’ il Cristo che, attraverso di me, continua la sua opera di salvezza. I sacramenti sono quelle realtà visibili che mi permettono di dire “Ti sto servendo”. Se non ci nutriamo della sua parola e della sua corporeità, proseguiamo per la nostra strada. Noi, ad un bambino che si battezza diciamo “è una nuova creatura”. Questa nuova umanità è quella che porta l’uomo di Nazareth, che ha vissuto pienamente tutte le contraddizioni e le lacerazioni del suo tempo, della polis, e che ci chiama a pienezza di vita». Uno sguardo sull’altro, dunque, che è messaggio d’amore, di quell’amore supremo che investe e che travolge, e che ti spinge a cambiare radicalmente la tua vita, che la intesse di significati nuovi, sconosciuti, in un arazzo di amore che si costruisce e che si disegna nell’atto stesso del nostro vivere, nell’atto stesso di rinnovare il nostro “sì” a Cristo. Un’esistenza, la nostra, profondamente radicata nella storia, con tutte le sue inevitabili contraddizioni e lacerazioni, non disancorata dal reale, che ci spinge a decifrare quei “segni dei tempi”, che rappresentano la dinamicità stessa della vita. Come auspica lo stesso papa Francesco, quando sogna «una pastorale familiare diocesana, capace di assumere lo stile proprio del Vangelo, andando incontro e accogliendo anche quei giovani che scelgono di convivere senza sposarsi.». Il consultorio come luogo di accoglienza e di risposta all’altro, perché l’altro mi interpella, mi interroga, nello stile di Gesù che afferma: “Misericordia voglio e non sacrifici”. Così, in “Amoris laetitia”, il Pontefice argentino ribadisce che: «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare”, vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. ..Nemmeno – afferma il Papa in una nota a piè di pagina – per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che, in una situazione particolare, non c’è colpa grave. Un pastore – aggiunge – non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa». Come sottolinea don Rinaldi: «Riconoscere l’altro e la sua sofferenza. Riconoscerlo come essere unico, originario, irripetibile.» Essere cristiani significa, forse, acquisire lo sguardo limpido di Gesù sulla realtà, sull’uomo, sulle cose, la sua mentalità e la sua sensibilità, per divenire finalmente umani.
di Vera Mocella
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