La ricerca del nuovo e l’allergia per le regole sono mosse da un forte individualismo, che cerca di massimizzare il successo, che gradisce apparire, essere alla moda, per cui gode molto dei consumi, della ricchezza cercata e posseduta, anche sfruttando gli altri, gli immigrati ben accolti purché “in nero”. Fin dall’inizio di questo tipo di ricerche si è parlato di edonismo, della ricerca del piacere, che appunto non ama troppo le regole, anzi cerca di ignorarle o di nasconderne la violazione, sfruttando gli altri.
Voler bene a se stessi, e agli altri appunto nella misura in cui sono utili al proprio di bene. “Che fare? Come vivere?”: se queste sono le domande che muovo la ricerca morale, non c’è dubbio che il pontificato di Francesco offra preziose indicazioni forti e innovative, eppur sempre tradizionali. Il Vaticano II, Gaudium et Spes n. 16: «Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità». Le chiese e i battezzati debbono recuperare una posizione di profezia capace di generare una cultura condivisa e diffusa che supporti i nostri contemporanei a prendere coscienza delle questioni in gioco e assumere delle posizioni chiare. Non possiamo, quindi, rinunciare ad annunciare verità e speranza. Per Papa Francesco quella stessa etica che è, da un lato, appello radicato nella profondità del Vangelo di misericordia, si pone, dall’altro, come terreno di dialogo e di incontro tra soggetti diversi. La ricerca di ciò che è giusto in ordine alla costruzione dell’esistenza personale e a quella sociale si incontra, così, con l’annuncio di un evangelo che le apre inediti percorsi per la vita assieme. Partire dall’annuncio della misericordia divina, che salva, perdona e crea gioia: «Nucleo fondamentale» in cui risplende «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Evangelii Gaudium 36). Prima, ben prima che sulle opere umane – buone o cattive che siano – lo sguardo si volge all’iniziativa amante di Dio, a quell’agire divino che precede quello umano, sostenendolo e rendendolo possibile. Il primato della divina misericordia nulla sottrae alla rilevanza del discorso etico. I credenti che propongano una parola morale devono essere «gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo» (EG 168). Invito a vivere esistenze di gioiosa corrispondenza al dono ricevuto: «Dare e perdonare è tentare di riprodurre nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante» (Gaudete et exultate 81). «Il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri» (GE 104). «Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti» (Amoris laetitia 304). «Gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (LS 205). La fiducia nell’umano si radica qui nella fede nel Creatore, che non ci abbandona: «Se Dio ha potuto creare l’universo dal nulla, può anche intervenire in questo mondo e vincere ogni sorta di male. Dunque, l’ingiustizia non è invincibile» (LS 74). «Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il bene di tutti» (EG 39). Non nel chiuso di spazi artefatti, ma nell’uscire si dispiega un’esperienza etica da vivere in prossimità: «Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene», mentre «chiudersi in se stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo» (EG 87). «Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo» (EG 88). «La persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da se stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature» (LS 250). La centralità dei poveri: l’opzione per essi «è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» (EG 198). La distanza da essi, d’altra parte, espone al rischio di cedere all’idolatria del denaro e alla cultura dello scarto, assolutizzando un modello che ritiene privo di senso «investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati, possano farsi strada nella vita» (EG 209). Cosa significa “non uccidere” - si chiede Francesco con i vescovi della Nuova Zelanda - «quando un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere» (LS 95)? L’etica compare qui come sovversione, come rivolta contro uno status quo ingiusto, come tenace richiamo a un’istanza di rinnovamento socio-ambientale, in nome di un Dio che invita a libertà nella giustizia.
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di lunedì 1 Giugno 2020
Rubrica "Fede e Società"
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