L'atto di fede

Quando apriamo la Bibbia, non ci troviamo di fronte a una sorta di trattato di filosofia o di teologia, di logica o di antropologia, ma abbiamo a che fare con una serie di scritti di autori diversi e destinati a pubblici altrettanto differenziati. Inoltre, in questi testi si esprime certamente la coerenza di Dio, che però non è la nostra coerenza: i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, le sue vie non coincidono con le nostre.

E’ nell’ atto di fede, che l’uomo con tutto se stesso si affida a Dio, accogliendo la sua Parola: con la sua intelligenza, la sua volontà libera e la sua affettività. In questo senso, se include la libertà, l’atto di fede autentico genera comportamenti coerenti. La fede, infatti, non è un’etichetta da esibire, dietro la quale si possono celare le più diverse scelte morali, politiche, sociali, culturali, ma un orientamento dell’esistenza che, per quanto abitata dalla fragilità e ferita dal peccato e dalla concupiscenza, non può non lasciarsi guidare dal suo Signore, nelle scelte sia fondamentali che quotidiane della vita. Quando la persona si lascia abitare dalla grazia, tende a lasciarsi formare dal Signore Gesù e quindi a comportarsi come Lui. La grazia innesta in noi un dinamismo per cui siamo chiamati a diventare simili a Lui (Cristo), recuperando l’immagine e la somiglianza originaria. La fede è la risposta dell’uomo alla Parola di Dio, che si rivela in Cristo. Certo si può averla o non averla, e neppure quando crediamo di possederla siamo al riparo dal dubbio e dalla ricerca, a volte faticosa e colma di difficoltà e di ostacoli. Nell’atto di fede, infatti, è coinvolta tutta la persona con la sua intelligenza, la sua affettività e la sua libertà. E questo atto non ci blocca, ma mette in movimento la nostra vita, non impedisce alla nostra ragione la ricerca, ma la stimola e la alimenta. Il cammino appartiene alla fede stessa, finché siamo in questa vita e le prove ne fanno costitutivamente parte. Le vie attraverso le quali si può “raggiungere” la fede possono essere concretamente le più diverse, perché, come giustamente diceva Tertulliano, «cristiani non si nasce, ma si diventa». Tuttavia, credo che alla base dell’atto di fede ci sia sempre un incontro con eventi, persone, circostanze della nostra esistenza. È l’incontro che ci stupisce ed emoziona (dimensione affettiva) e ci fa riflettere (dimensione conoscitiva) fino a esprimersi in un sì alla Parola che non tramonta (dimensione della libertà), che è incarnata in Cristo Signore. È la fede che salva, non le opere e che il merito fondamentale è dunque la fede, virtù teologale, dono Di Dio, e i “meriti” non sono tanto i nostri quanto innanzitutto quelli del Cristo redentore, giacché nessuno si può salvare da solo, senza la grazia misericordiosa del Signore. Il giudizio sulla fede delle persone, anche quelle che si ritengono non credenti o diversamente credenti, non spetta a noi, ma a Dio. La Chiesa e la teologia da sempre ci invitano a leggere le tracce di bene, di vero e di bello, presenti anche fuori del Cristianesimo, come «semi del Verbo», arrivando, con il grande martire Giustino a dire che «coloro che hanno vissuto secondo il Logos, anche se sono considerati atei, sono cristiani». Il fatto che in Gesù Verbo incarnato ci sia donata tutta la verità non vuol dire che fuori della fede in Lui ci siano solo nefandezze e falsità, né vuol dire che siamo noi a possedere il monopolio del vero e del bene. La fede che salva è insieme dono (grazia) e risposta dell’uomo alla Parola di Dio. Il Vangelo, accolto nella fede, non è una pura teoria, né un insieme di norme da eseguire, bensì tende ad incarnarsi e quindi a coinvolgere non solo la mente e lo spirito, ma anche il corpo del cristiano, in un incontro tanto reale da includere la fisicità del mangiare e del bere. A noi non spetta altro che testimoniare  la nostra fede con gesti e parole che si ispirano ai gesti e alle parole di Gesù stesso, ciò è manifestazione che siamo in Lui. Certo, non siamo in grado di fare miracoli, ma certamente di offrire gesti e parole di perdono, di giustizia, di accoglienza che possono lasciar intravedere una fede, non fatta di parole e di argomenti, ma profondamente innestata nella nostra vita. La credibilità del Vangelo passa attraverso la credibilità della nostra testimonianza personale e comunitaria.

 

di don Salvatore Rinaldi

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 6 Luglio 2020

 

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