Una prima semplice interpretazione, più antica e – potremmo dire – “ingenua”, ha utilizzato il miracolo in chiave apologetica, come “dimostrazione” della potenza di Gesù e, in ultima analisi, della sua stessa divinità. Come si può facilmente intuire, la logica di tale interpretazione, soprattutto quando portata fino alla conseguenza di voler dimostrare la natura divina di Gesù, non regge. Basti pensare a miracoli operati dai personaggi dell’Antico Testamento, uomini di Dio profeti, che non hanno mai rivendicato per sé alcuna identità divina.
Inoltre, il modo di narrare i miracoli non va in questa direzione: non indulge infatti mai allo spettacolare; anzi, al miracolo si accompagna sovente l’ordine di Gesù di non divulgare il fatto. Come le parabole, anche i miracoli svelano e nascondono allo stesso tempo. Qual è dunque il significato teologico dei miracoli? Per i sinottici (Vangelo di Luca, Matteo e Marco), le «azioni potenti» di Gesù manifestano soprattutto l’irruzione del regno di Dio nel mondo; insieme alla sua predicazione, annunciano e mostrano concretamente il realizzarsi della promessa divina di liberare dal male (e dal Maligno) gli esseri umani malati peccatori, e sono così parte del grande mosaico cristologico che il racconto costruisce passo dopo passo. Nel Vangelo di Giovanni, i «segni» operati da Gesù servono a manifestare la sua «gloria», e richiedono sempre l’adesione di fede di chi li assiste. Anche in questo caso, quindi, non si possono ridurre a una semplice dimostrazione apologetica della divinità di Gesù, ma piuttosto rivelano la posizione degli attori coinvolti: sia i presenti di duemila anni fa di cui parla il vangelo (si pensi alle reazioni davanti alla guarigione del cieco in Gv 9), sia, ancora oggi, quanti ne ricevono l’annuncio e ne vengono interpellati. La novità più promettente nello studio recente dei miracoli è forse l’interpretazione narrativa, che consente di indagare il valore della modalità specifica con cui essi sono giunti a noi: il racconto. Un primo elemento messo in evidenza è la funzione dei miracoli all’interno dell’intera trama evangelica: solo considerando i singoli prodigi come tessere di un mosaico più ampio, si costruisce in modo organico la caratterizzazione del “personaggio Gesù”; è chiaro che, se venissero meno i miracoli, scolorirebbe in modo drammatico la sua figura. Ogni miracolo infatti afferma qualcosa di nuovo del Nazareno, apportando un valore teologico e cristologico particolare; solo guardando l’insieme della narrazione è possibile ricostruirne compiutamente il volto. La persona di Gesù ne emerge come il portatore di un’azione buona di Dio nei confronti dell’uomo, in particolare bisognoso e sofferente; tale azione assume caratteristiche molto concrete, perché i vangeli ci trasmettono un Gesù che tocca per guarire e non esita ad entrare in contatto con la carne malata dell’uomo; infine, Gesù richiede la collaborazione attiva, cioè la fede, della persona raggiunta dal miracolo. Com’è chiaro, ognuno di questi elementi ha qualcosa da dire anche al cristiano dei nostri giorni. Un secondo guadagno della narrativa è lo studio dei personaggi. Nei racconti evangelici di miracolo quasi sempre emerge la figura di almeno un personaggio che (pur comparendo in un solo episodio) è portatore di un punto di vista, di un valore e di un messaggio importante per il lettore. Accostarsi al racconto di miracolo attraverso la “porta” dei personaggi coinvolti rende accessibile un mondo di significati spesso lasciati in secondo piano da una lettura di tipo meramente storico. Sono proprio i personaggi a introdurre in ogni racconto, e quindi nella comprensione del fatto miracoloso, la sua specifica chiave interpretativa, richiedendo l’immedesimazione con quel particolare soggetto di cui l’evangelista ha voluto mantener viva la memoria. Il numero e l’importanza dei racconti di miracolo nei vangeli rendono necessario individuare strategie efficaci per continuare a narrare tali azioni di Gesù. Non è possibile nascondere questo aspetto della vita del Nazareno perché scandaloso agli occhi dell’uomo contemporaneo. Romano Penna: «La storicità globale dei miracoli non si può ragionevolmente rifiutare» (R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo, vol. 1, San Paolo, Milano 2010, 59). In generale, di fronte ai racconti evangelici, la maggioranza degli storici ritiene di dover sospendere il giudizio limitandosi a riconoscere che una certa azione (inspiegabile) è stata considerata dagli evangelisti come provocata dall’agire di Dio nel mondo. Lo storico si dovrebbe fermare qui, senza poter dire né che si tratta di miracolo, né che non lo è; si può ragionevolmente pronunciare sulla attendibilità della tradizione (quanto antica, quanto stabile), e non oltre.
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