Salvato da chi?

Cosa avviene nell’uomo salvato, redento da Cristo? È messo in grado di vivere la stessa vita di Dio, avendo la grazia, che è la partecipazione creata della stessa vita increata di Dio. Questa grazia permette ad ogni persona di avere fede, speranza, carità infuse, e tutte le altre virtù, anche esse infuse.

Si tratta di “accogliere” questo dono e di viverlo. Viverlo nella Chiesa significa entrarvi con Battesimo, crescervi con la Confermazione, esservi nutriti (e tanto altro) con l’Eucarestia, essere nuovamente riconciliato con la Riconciliazione o Penitenza, esservi aiutato e sollevato quando la fine della vita, per estrema vecchiezza o per grave malattia, fa vedere all’orizzonte la morte, esservi chiamato al servizio della comunità, esservi chiamato a manifestare l’amore fecondo, fedele e unico che Iddio ha per noi. Per poter vivere nella Chiesa e avere partecipazione nei sacramenti è indispensabile che la nostra natura umana sia pienamente vissuta. La grazia non distrugge la natura, anzi la sostiene ponendola a livello soprannaturale. L’uomo è chiamato alla vita eterna. Dopo la morte, con la quale la vita non viene tolta ma è solo mutata, c’è un giudizio personale. Una sintesi dell’antropologia cristiana si trova nella Costituzione pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, a partire dall’affermazione della dignità umana. Infatti l’uomo è creato ad immagine di Dio (GS, 12), costituito in santità, è caduto nel peccato (GS, 13). L’uomo è unità di anima e corpo (GS, 14). C’è nell’uomo la dignità dell’intelligenza, verità e sapienza e della coscienza morale (GS, 15-16), la sua libertà eccelle nel suo vissuto (GS, 17). L’uomo incontra la morte (GS, 18), può cadere nell’ateismo (GS, 19-21), ma è solo nel Verbo che si è fatto carne, Gesù Cristo Signore, che si mostra l’uomo nuovo (GS, 22). Un mondo che relativizza la verità, un mondo che vede nel piacere, nel successo effimero, nell’usa e getta, nel più forte, in colui “che ce la fa sempre”, nell’egoismo, nell’utile, i suoi punti di riferimento. Sono disvalori proposti ovviamente come valori. Non c’è più uno stabile punto di vista, la scienza non basta. Così noi del post-moderno viviamo la crisi economica in modo ben diverso da come fu vissuta quella del 1929. allora esistevano ideologie che si offrivano come alternativa. Oggi non ce ne sono. I modelli, oggi, non sono più dati e assiomatici. Ce ne sono troppi e in contrasto tra loro. Così mancano i punti di riferimento. Gli stessi parametri etici del grande Codice della Bibbia sembrano diluiti e poco evidenti. Si parla allora di relativismo, di nichilismo, di pensiero debole di ontologia del declino. L’aveva previsto il martire tedesco D. Bonhoeffer (1906- 1945): si dissolvono i valor, governanti e amministratori galleggiano sulla liquidità. Dopo le azioni infauste del nazifascismo (il punto più in basso lo vive la Shoah), in Italia si costruisce una Costituzione, la nostra, in cui si trova il pensiero cattolico come effetto del Codice di Camaldoli, frutto del lavoro svolto in quel monastero da giovani di A.C. e della FUCI, che hanno alle spalle un pensiero simile a quello di Jacques Maritain (1882-1973) e anche di E. Mounier (1905-1950), il personalismo e quello comunitario. Ma vi si trova ance il pensiero liberale e quello socialista. Dalla Costituzione emerge un gran rispetto per i diritti inalienabili della persona, la sua dignità, il suo lavoro ecc. La crisi non si supera se la persona, la sua dignità, il suo lavoro non tornano ad essere centro e misura dell’economia e della politica. La Bibbia che al cap. 11 di Genesi ci parla della Torre di Babele, immagine della confusione disgregante, origine di tutte le crisi nate dalla scissione del virtuale e il reale. Già Voltaire (1694-1778) avvertiva che Babele vuol dire “el”, Dio, “baba”, padre. Secondo J. Derrida, Dio punisce i costruttori della torre perché hanno voluto farsi un nome, assicurarsi da soli una genealogia universale. Secondo la metafora biblica non sarà l’omologazione delle differenze il futuro dell’umanità ma la loro convivialità, il reciproco riconoscersi e accettarsi sul fondamento comune della dignità assoluta di ogni persona umana e il diritto di ciascuno all’eguaglianza formale e sostanziale. Davanti al Dio della storia nessun uomo è un’isola. Si tratta di costruire insieme a tutti - oltre il naufragio e sulle onde della modernità liquida – la barca che ci faccia compiere il viaggio verso il porto, intravvisto dalla speranza e mai interamente posseduto nella realtà, porto della pace universale e della giustizia per tutti.

 

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