L'Avvento con Papa Benedetto

L’ Avvento non è soltanto un ricordo e una rappresentazione del passato, bensì anche un nostro presente e una nostra realtà: nel corso di queste settimane la chiesa non tiene una sacra rappresentazione, ma ci indica quel che costituisce la verità anche della nostra esistenza cristiana. Il senso del tempo dell’Avvento nell’anno liturgico è anche quello di risvegliare in noi questa coscienza.

 

Esso ci deve spingere a prendere posizione di fronte a questi dati di fatto, ad ammettere la grande mancanza di redenzione che non aleggiava solo una volta e che forse non aleggia ancora soltanto da qualche parte sul mondo, ma che è una realtà pure tra di noi e in mezzo alla chiesa. Credere significa guardare senza timore e a viso aperto tutta la realtà, anche se tale tutto depone contro l’immagine che per qualche motivo ci siamo fatti della fede. L’esistenza cristiana comporta perciò anche che osiamo parlare, nel bel mezzo della tentazione della nostra oscurità con Dio. Comporta che non pensiamo di poter presentare a Dio soltanto la metà della nostra esistenza e i dovergli risparmiar il resto, perché forse lo potremmo così infastidire. No, proprio davanti a lui possiamo e dobbiamo presentare molto sinceramente tutto il peso della nostra esistenza. In questo tempo di Avvento cerchiamo perciò di riflettere davanti al volto di Dio su tutta la realtà dell’Avvento, che non è una sacra rappresentazione, bensì la realtà della nostra esistenza cristiana. Noi, che cerchiamo di essere credenti, abbiamo spesso la sensazione che la realtà di Dio ci sia stata sottratta di mano. Non cominciamo anche noi a domandare spesso: dov’è finito Egli nel silenzio di questo mondo? Non abbiamo anche noi spesso la sensazione che, al termine di tutte le nostre riflessioni, abbiamo in mano solo parole, mentre la realtà di Dio è più lontana di quanto non sia mai stata prima? Quel che oggi propriamente ci assilla e costituisce per noi una tentazione è piuttosto il fatto dell’inefficacia del cristianesimo: dopo duemila anni di storia cristiana non vediamo nulla che sia una nuova realtà nel mondo, bensì vediamo che il mondo continua a essere invischiato nelle stesse cose spaventose, nelle disperazioni e nelle speranze di sempre. E quando, dopo tante fatiche e tentativi di vivere cristianamente, alla fine tiriamo le somme, siamo di nuovo abbastanza spesso sopraffatti dalla sensazione che la realtà ci sia sottratta e sia dissolta e che tutto quel che rimane sia in fondo l’appello al debole lumicino della nostra buona volontà. E questo ci conduce infine di nuovo alla questione del messaggio del Signore: quale realtà ha Egli propriamente predicato e portato tra gli uomini? La grandezza del messaggio sta, infatti, precisamente nel fatto che il Signore non ha parlato semplicemente dell’aldilà e delle anime, bensì nel fatto che si è rivolto al corpo, a tutto l’uomo nella sua corporeità e nel suo inserimento nella storia e nella comunità; nel fatto che ha promesso il regno di Dio all’uomo vivente corporalmente con gli altri uomini in questa storia. Cristo non ha guardato solo a un aldilà, ma intendeva parlare dell’uomo reale, sia bella, in altrettanta misura essa è in grado di deluderci e di scuoterci, quando guardiamo alla storia reale, che non è per davvero un regno di Dio. Dio non ha suddiviso la storia in una metà luminosa e in una metà oscura. Non ha suddiviso gli uomini in uomini da lui redenti e in uomini da lui dimenticati. Esiste solo un’unica storia indivisibile, che è tutta quanta contraddistinta dalla debolezza e dalla miseria dell’uomo e che sta tutta quanta sotto l’amore misericordioso di Dio, che continua ad avvolgerla e a sorreggerla. Ai pastori di Betlemme fu detto: «Questo sarà per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12). In altre parole: il segno per i pastori è che essi non troveranno alcun segno, bensì semplicemente il Dio diventato bambino, e che dovranno credere nella vicinanza di Dio in questo nascondimento. Il loro segno chiede loro di imparare a scoprire Dio nell’incognito del suo nascondimento. Il loro segno chiede loro di riconoscere che Dio non è reperibile negli ordinamenti comprensibili di questo mondo e che possiamo trovarlo soltanto se ci spingiamo al di là di essi. Il segno vero e proprio da lui scelto è però il nascondimento, a cominciare dal misero popolo d’Israele fino al bambino di Betlemme e fino a colui che muore sulla croce dicendo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Questo segno del nascondimento ci dice che la realtà della verità e dell’amore, le autentiche realtà di Dio, non sono reperibili nel mondo delle quantità, bensì possono essere da noi reperite soltanto se ci spingiamo al di là di esse ed entriamo in un nuovo ordine.

 

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