Un raggio di felicità con la cultura della cura

«Un tempo per amare, un tempo per odiare, un tempo per la guerra, un tempo per la pace» è un equilibrio misterioso e fatale tra l’amare e l’odiare, tra la guerra e la pace. Non è l’equilibrio di forze che si contrastano, ma di forze che si inseguono, si compensano, si bilanciano l’una con l’altra. C’è un tempo per amare e un tempo per odiare, e forse è proprio il senso del tempo che sembra concedere una pari dignità a sentimenti tanto diversi. Non il tempo inteso in senso cronologico, ma il tempo come momento della vita morale.

 

Se di tempo cronologico si trattasse, la frase avrebbe il senso di un annuncio o di una profezia: i cicli si susseguono, la storia cambia le cose. Come dire che c’era una volta l’amore, poi venne l’odio; c’era una volta la guerra, ma poi venne la pace. Ma non è questo il tempo di cui si tratta. «Il tempo per…» significa piuttosto «il momento giusto per…», e in questa chiave la frase parla alla coscienza, pone il problema morale affermando che c’è un momento giusto per amare, un momento giusto per odiare, uno per la guerra e uno per la pace. Non è il senso della storia a imporsi, ma il tema della coscienza e della giustizia, in tutta la sua complessità e ambivalenza. Non che sia la stessa cosa amare o odiare, fare la guerra o fare la pace, perché ogni uomo in fondo aspira all’armonia e ai sentimenti positivi. L’ambivalenza è nella possibilità di riconoscere un ruolo anche alla guerra e riconoscere dignità persino all’odio, quando nascono da una istanza di giustizia. È il tema del giorno. È il tema della «guerra giusta», che un intenso dibattito negli ambienti ecclesiali come gli ambienti laici. Il tema che un certo pacifismo non vuole neppure porre in discussione, e che invece, sia pure dolorosamente, è più che mai al centro dell’attualità e della riflessione politica ed etica. E con questo pacifismo si schiera oggi larga parte del mondo musicale, con i suoi profeti della pace a ogni costo, i suoi «militanti» in buona e cattiva fede, con il loro pensare semplice in un mondo che è invece tremendamente complesso. Il tempo è di Dio, che lo dona a tutte le creature, come segnale e limite della grazia suprema della vita. In questi doni si inserisce la libertà di ciascuna creatura umana, che responsabilmente sceglie di impegnare il tempo a sua disposizione per il bene o per il male, per la verità o per la menzogna, per la giustizia o l’iniquità, per l’amore o per l’odio. Attraverso questa misteriosa inserzione si realizzano i disegni della Provvidenza divina, unica e vera regolatrice della storia. Questo è il punto fondamentale da chiarire agli uomini, oggi più che mai infelici, perché distratti dalle scoperte scientifiche e dai prodigi della tecnologia, fuorviati dalla superbia della ragione. Eppure anche in questo tempo gli uomini possono trovare un raggio di felicità, a patto che cessino dal loro correre incessante e senza senso; a patto che si fermino, per qualche istante, ad ascoltare il canto degli uccelli, a guardare un cielo stellato. Concludo con il messaggio di Papa Francesco nella LIV Giornata Mondiale della Pace: Ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica trova il suo compimento quando si pone al servizio del bene comune, ossia dell’«insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente». Pertanto, i nostri piani e sforzi devono sempre tenere conto degli effetti sull’intera famiglia umana, ponderando le conseguenze per il momento presente e per le generazioni future. Quanto ciò sia vero e attuale ce lo mostra la pandemia del Covid-19, davanti alla quale «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme», perché «nessuno si salva da solo» e nessuno Stato nazionale isolato può assicurare il bene comune della propria popolazione. La solidarietà esprime concretamente l’amore per l’altro, non come un sentimento vago, ma come «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti». La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro – sia come persona sia, in senso lato, come popolo o nazione – non come un dato statistico, o un mezzo da sfruttare e poi scartare quando non più utile, ma come nostro prossimo, compagno di strada, chiamato a partecipare, alla pari di noi, al banchetto della vita a cui tutti sono ugualmente invitati da Dio.

 

 

 

Scrivi commento

Commenti: 0