Avere giovani felici

Educare non significa solo vigilare sul dovere, dare regole, mettere limiti, far camminare all’interno di sistemi, spingere a fare la cosa giusta, il proprio possibile. Chi educa deve essere capace di guardare con amore; e questo sguardo non è una questione sentimentale, ma la chiave di volta di tutta l’esistenza di una persona; è uno sguardo che anticipa di poco la risposta che il giovane effettivamente sta cercando con tutte le forze.

 

Ciò che manca ai ragazzi è avere qualcuno che dissotterri dentro di loro il motivo valido per cui dare la sua vita. Se tu non hai un valido motivo per cui dare via tutta la tua esistenza significa che non hai nemmeno un valido motivo per cui vivere. La felicità non è semplicemente stare alle regole, ma avere un motivo per cui dare la vita. Dare la vita non significa buttarla ma liberarla dalla schiavitù del moralismo o delle ideologie o dei facili sentimentalismi. Cercando di dire al giovane che ciò che conta nella vita, innanzitutto, è il motivo per cui viverla: è saper scegliere, prendere una decisione. Ma è sempre difficile fare questo salto, perché mette le vertigini. L’infelicità, che non sopportiamo, è però un territorio sicuro, una terra certa su cui ormai teniamo i nostri piedi. Nessuno di noi vorrebbe mai lasciare qualcosa di certo per qualcosa di incerto. Paradossalmente, nessuno di noi può lasciare la certezza della propria infelicità per l’incertezza della felicità. Non vogliamo lasciare la stabilità della nostra infelicità per consegnarci alla precarietà della felicità: la felicità, infatti, è un’esperienza, implica un cammino, per fare il quale bisogna lasciare una terra, staccarsi dalle cose certe che abbiamo sotto i piedi, per metterci in moto verso qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. Non si può essere felice da fermi né si può esserlo se si è prigionieri della tecnica dell’esistenza. Il dovere e le regole agiscono nella nostra esistenza come una forza di gravità. Noi dobbiamo avere sempre a mente che educare significa aiutare le persone a rimettersi con i piedi per terra. Ma c’è un momento in cui la forza di gravità del dovere e delle regole può diventare una maledizione, perché invece di tenerci semplicemente con i piedi per terra, ci tiene fissi, inchiodati, incapaci di camminare. La chiave di volta sta più nell’analizzare la nostra realtà, ma nel trovare il coraggio di scegliere qualcosa a partire da essa. Educare al coraggio dovrebbe essere un impegno che ogni educatore è obbligato a prendersi, accanto a quello di educare alla lealtà e all’onestà. Non basta avere un popolo di giovani buoni, abbiamo bisogno di avere un popolo di giovani felici; ed è proprio sull’esperienza del coraggio, della nostra capacità educativa di saper incoraggiare e non semplicemente di compatire che si gioca un vero cambiamento. Ciò che conta nella vita, c’è bisogno anche di una porzione di incoscienza. Un’incoscienza intesa come il coraggio di saper andare avanti oltre il calcolo della logica, oltre il calcolo della semplice ragione. A volte, nella vita, tergiversare può diventare fatale. Quando si incontra qualcosa di vero, bisogna saperlo scegliere subito, senza tergiversare. L’educazione è quel luogo dove noi siamo chiamati a sperimentare qualcuno che ci riporti con i piedi per terra, dandoci l’esperienza del limite e, allo stesso tempo, qualcuno che guardandoci con amore provochi la nostra libertà, affinché grazie a essa si prenda una decisione, che è sempre un rischio. Rischiare è l’infinito del verbo decidere. E la decisione è il cuore stesso di ogni vera liberazione. La libertà è precisamente ciò che ci ricorda questo fraintendimento, perché non solo ci permette di scegliere la cosa giusta, ma perché ci spinge a scegliere ciò che ci compie. Il dramma attuale nasce da questa delusione, di cui molto spesso facciamo esperienza: fare la cosa giusta, eppure sentirci mancanti, incompleti, infelici. Sembra questo il grido che sale dalle nuove generazioni: perché non ci avete insegnato a essere felici? La verità è che la felicità non la si può insegnare. Chi siamo veramente? Nella nebulosa dell’identità, anche la libertà diventa faticosa. Per questo ci è difficile decidere. E la nostra difficoltà non sta tanto nel poter scegliere, ma nel non saper scegliere. La nostra mancanza di decisione concreta, si profila come nella forma di un’insuperabile indecisione di fondo: non sappiamo decidere perché siamo indecisi; e siamo indecisi perché non sappiamo chi siamo.

 

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 8 Febbraio 2021

di don Salvatore Rinaldi

 

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