Non guarire dalla giovinezza

Il passaggio dall’infanzia all’età adulta avviene attraverso la giovinezza. Essa diventa quindi il momento attraverso cui ci testiamo e cominciamo a scoprirci. È il tempo in cui verifichiamo davvero che cos’è la debolezza, in cui mettiamo alla prova i nostri limiti. Tutto diventa un’immensa domanda su noi stessi: chi sono io veramente? Il nostro sguardo scopre il mistero di noi stessi: se siamo amati, se c’è qualcuno che renda affidabile la nostra vita.

 

La vita, la giovinezza, comincia a trafiggerci; e gli altri, con gli innamoramenti, con gli odi, nei rapporti che prima erano significativi, cominciano man mano a diventare qualcosa di infinitamente problematico. Tutto è complesso, perché tutto rimanda a me, a questo grande mistero, alla grande incognita che sono io. Sono i legami ad aiutarci nel viaggio. La vita vale la pena se si trova un motivo per vivere, non un colpevole o un capro espiatorio a cui dare la colpa della propria infelicità. Dovremmo cercare ragioni per essere felici, non conservarci motivazioni così da constatare di essere infelici. La cosa più intelligente che possiamo fare, in verità, è renderci conto che siamo chiamati, in questo momento, a riscoprire una responsabilità completamente diversa. Per ottenere libertà, non bastava uccidere un’idea autoritaria, a cui avevamo dato la colpa dell’oppressione che gravava sulle nostre vite. Perché, di un padre si ha anche bisogno, per poter affrontare la vita che sta davanti a noi; si ha bisogno di un padre affinché la vita sia possibile. Possiamo, paragonare la giovinezza al percorso nel deserto; a un viaggio in cui sperimentiamo la fame, la sete, la mancanza di coordinate, la precarietà, il non sapere in maniera certa dove dobbiamo andare e quanto lungo sarà il cammino. Quanto dura la giovinezza? Quanto dura il tempo di questa crisi? Quanto dura il passaggio attraverso il deserto? Quand’è che possiamo dire di essere arrivati nella terra promessa? La libertà non è innanzitutto un cambio di luoghi o di circostanze, ma è una nuova visione, un nuovo punto di vista sulla realtà. La vita comincia ad ammalarsi quando smette di essere un cammino, quando non è più un percorso, quando pensiamo di non avere più domande, quando supponiamo di non avere più motivi; quindi non è vivere per sentirci degli arrivati. Nel momento stesso in cui ci sentiamo così, la nostra vita finisce; e dovremo rendere conto di un’esistenza vissuta solo per noi stessi, senza pensare a nient’altro se non a noi. Può sembrare esagerato, ma guarire dalla giovinezza significa morire. Dobbiamo sempre, allora, augurarci di trovare un modo per non guarire da questa malattia, trovare un modo affinché questa crisi non si spenga, trovare un modo affinché il cammino sia sempre possibile. È un grande fraintendimento pensare che l’Amore sia amore per il futuro, che sia amore per una vita che non c’è ancora, che sia semplicemente una possibilità che dobbiamo aspettare di vedere realizzata. Il tempo dell’Amore è, al contrario, il tempo presente. Quando una persona recupera la maturità dell’Amore, in realtà recupera la piena cittadinanza del presente. La pienezza della vita non è qualcosa che accade un giorno e basta, ma è qualcosa di ogni giorno; non di un solo giorno, né  semplicemente di un giorno futuro, né semplicemente di un giorno che è già stato, ma è qualcosa che ogni giorno si riavviva, che ogni giorno diventa vera, che ogni giorno si vivifica. Il presente diventa luogo della tensione tra due categorie, tra il passato e il futuro, tra ciò che vogliamo lasciare e ciò verso cui vogliamo andare. Avvertiamo il dolore della tensione, il dolore di questa crisi. Qual è l’errore che a volte facciamo davanti a questo paradosso? È volerlo risolvere. È voler togliere la tensione. È in questo senso che ci auguriamo di voler superare la crisi della giovinezza, perché pensiamo che il suo superamento sia il raggiungimento di quella meta che, finché è assente, ci fa soffrire, ci spinge, ci strugge interiormente. Trattiamo così come fossero sintomi di un malessere, delle cose che altro non sono che le tappe di un percorso, che altro non sono se non la parte esteriore di un cammino necessario per ciascuno.

 

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 22 Febbraio 2021

di don Salvatore Rinaldi

 

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