Il neonato esprime i suoi bisogni attraverso un linguaggio semplice: se sta bene ed è felice sorride, se sta male e prova qualche disagio piange, non ha necessità di fingere. Ben presto però si accorge che può indirizzare il suo comportamento, rendendolo in parte manipolatorio, piangendo, ad esempio (senza avere una reale necessità), solo al fine di attirare l’attenzione della mamma…
Da qui comincia un percorso che affinerà sempre più e che lo porterà a diventare un adulto, più o meno abile nel gestire le menzogne. Naturalmente nel bambino questo meccanismo è inconscio e probabilmente ha una motivazione evolutiva per la specie, ma crescendo si può sviluppare un’attitudine più o meno spiccata nel raccontare/raccontarsi bugie, basti pensare che in una sola giornata se ne dicono circa 4 e si ricevono dalle 10 alle 200 informazioni false. In sostanza, l’unica verità sembra essere quella che tutti mentono. I motivi che inducono a mentire sono innumerevoli e le sfumature infinite (difendere se stessi, timidezza, tutelare la propria privacy, nascondere fragilità, ecc.) ma, la maggior parte ha come denominatore comune la paura del giudizio, decisamente esacerbata in questo periodo storico, dove, sebbene banale sottolinearlo, “apparire vale più che essere”. Si è quindi indotti a pensare di dover mostrare una parte di sé che metta in luce solo gli aspetti positivi, sempre secondo canoni imposti, che trasmettono un’immagine di bellezza, successo e performance. La radice del problema sta nel desiderio innato di essere accettati e il timore di essere esclusi. Per questo non ci stanchiamo mai di sostenere che la famiglia rappresenta un terreno importante per influenzare la propria autostima. In veste di figli rischiamo di essere condizionati dalle parole dei genitori fin dalla prima infanzia. Pur con tutte le ottime intenzioni di stimolarci ed “educarci” spesso esprimono giudizi su di noi che rischiano di etichettarci e di influire sul concetto che abbiamo di noi stessi; e quindi sulla autostima. A furia di sentirci ripetere che siamo “pigri”, “disordinati”, “distratti” o “bugiardi”, finiamo col convincerci di esserlo davvero. Già da molto piccoli cominciamo a crearci l’immagine di noi stessi. Il ruolo della famiglia è importante per dare fiducia in sé, ma non decisivo. Le parole, gli atteggiamenti e i gesti dei genitori sono importanti, ma non tali da lasciare segni indelebili e da tracciare il solco della nostra vita. Non serve a nulla coltivare rimpianti sul passato e ansie per il futuro. Concentrandoci sul presente ognuno può aggiustare la visione che ha di sé. Cosa possiamo fare per uscire da questo meccanismo perverso e lasciare sempre meno spazio alle falsità? Accorgersi di aver detto una bugia e riflettere sui motivi che ci hanno spinto a farlo. Spesso agiamo in buona fede, come se si fosse generato un automatismo; è troppo tardi per recuperare ma è il primo passo verso il cambiamento. Accorgersi che stiamo dicendo una bugia nel momento in cui la esprimiamo. Ritrattando si potrebbe generare disagio anche nell’interlocutore, ma si può provare a elaborare la frase in modo tale che si possa trasformare in una “mezza verità”. Accorgerci che vorremmo dire una bugia censurandoci prima di esprimerla. È il passaggio più difficile perché è necessario essere realmente “presenti a noi stessi”, mettendoci in discussione e sganciandoci da un meccanismo che genera un circolo vizioso. Un ulteriore passaggio consiste nello smettere di giustificarsi entrando nell’ottica che l’unica persona alla quale dobbiamo rispondere siamo noi. Se ci si esprime in maniera assertiva, con fermezza e gentilezza, non si ha nulla da temere e la trasparenza diventerà un valore apprezzato anche dagli altri. Non bisogna però inciampare nell’errore opposto: essere sinceri indiscriminatamente, sempre, e con chiunque. Il rischio concreto è quello di ferirlo inutilmente. Sarà sufficiente non dare consigli, non esprimere opinioni, salvo quando vengono richieste esplicitamente e, in questi casi, occorrerà farlo con garbo, sulla base del fatto che ognuno ha i propri gusti e le proprie opinioni, ed è questa la discriminante che ci rende speciali e unici.
di don Salvatore Rinaldi
Rubrica "Fede e Società"
Articolo di lunedì 4 Ottobre 2021
Scrivi commento