Nostalgia di futuro

I bambini, forse più imperiosamente, provano dolore per qualcosa che hanno vissuto e che ora non si profila più all’orizzonte, per un oggetto al quale erano legati e che ora è scomparso, per una voce che li ha a lungo accarezzati e che ora tace. Strana parola, però «nostalgia»: dolore del ritorno. La nostalgia è un breve sussulto della memoria che prende dimora nel pensiero, nella carne. Ogni tempo vissuto è fatto di volti, di odori, di suoni, di colori, di percezioni, emozioni provate. Ma perché il “dolore” del ritorno?

Forse perché ritornare a ciò che si è vissuto costa fatica, deviazione, dimenticanze, conquiste? O forse perché quando si ritrova ciò che si è amato non è più lo stesso, e una sottile, tenace delusione accompagna quel ritrovamento? Forse perché le cose amate sono cambiate senza di noi, o forse perché noi siamo cambiati ed esse si sono logorate nell’inerzia? Il sentimento della nostalgia può essere rivolto anche al presente, quando sentiamo che qualcosa ci sfugge tra le dita. E, può essere attivato anche da una mancanza di futuro. Anche le fedi hanno spostato l’attenzione dalle cose ultime a quelle penultime o addirittura a quelle che ci stanno accanto. Credo che l’attenzione al presente ci immette nel nuovo. E allora questa è la domanda da porci: “Sentinella, a che punto è la notte?” credo che il sentiero che varca la notte sia quello che ogni uomo percorre con l’attenzione di una sentinella, la forma basilare della preghiera: non siamo noi che apriamo il varco ma qualcosa viene a noi nella notte, ma solo se siamo pronti ad accoglierla, come la luce del giorno. Sant’Agostino diceva che esiste solo il presente, la presenza del passato è la memoria, la presenza del futuro è la speranza, la presenza del presente è l’attenzione. Se noi non siamo attenti, proprio come la sentinella, occhi ben aperti nel cuore della notte, non potremo vivere nella e della luce che arriva costantemente nel presente. Credo fermamente nell’attenzione come tensione ad, questo significa la parola, cioè una presa di posizione nei confronti della realtà che consente alla realtà di aprirsi alla nostra domanda, come accade nella fisica dei quanti: l’evento è generato dalla relazione, non esistono soggetto e oggetto, ma la relazione. Noi percepiamo nella notte quando smettiamo di stare nel presente e ci lasciamo inghiottire dalle ferite del passato o dalla paura del futuro. Essere attenti comporta come conseguenza la pazienza dell’attendere, sapere che la luce arriverà e questa è una certezza che trasforma la notte in un passaggio, non in una condizione definitiva. Poniamoci la domanda essenziale. Per chi o cosa io sono indispensabile? Quale parte di mondo si salva grazie a me? Solo il ridare centralità all’unicità della persona come novità voluta da Dio da sempre e per sempre restituisce il giusto protagonismo esistenziale, che è percepirsi come dono per il mondo e quindi spinge a donarsi al mondo». Quindi tensione ad. Ma dove Dio è rimosso dalla realtà, non ci può essere speranza, se non di corto raggio: le sostanze (materiali e stupefacenti) sostituiscono la sostanza. La distanza imposta e la didattica a distanza hanno messo in luce anche per i giovani l’importanza dello sguardo e dello stare insieme, vissuto più qualitativamente che quantitativamente. «Solo all’interno della relazione l’umano cresce. Dice Virgilio: “Riconosci, bambino, tua madre dal suo sorriso”. L’io si forma a partire dal tu, da un tu che guarda benevolmente, cioè volendo il bene, cioè facendo percepire la propria vita come bene. Dopo che il verbo si è fatto carne, ogni carne (ogni vita) è chiamata a farsi verbo (volto e voce). E questo accade solo dove l’umano è preso sul serio come fa Dio con ciascuno di noi». Nostalgia di futuro in quanto noi portiamo già e non ancora l’Eternità di Dio.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 11 Ottobre 2021

Rubrica "Fede e Società"

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