Una Chiesa migliore

«Un numero consistente di giovani per le ragioni più diverse, non chiedono nulla alla chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante» (Christus vivit, 40). L’opinione nei confronti della chiesa, in quanto istituzione, subisce la sorte di tutte le altre istituzioni, verso le quali i giovani hanno un discreto sospetto. Quando i giovani pensano alla chiesa, la associano a tre temi: il Vaticano, i preti e la morale, soprattutto in ambito sessuale e familiare. 

Papa Francesco è un caso a sé. Rispetto al Vaticano, i giovani ribadiscono obiezioni antiche: fanno problema le sue ricchezze rese evidenti dallo sfarzo di celebrazioni che sanno di antico; il Vaticano è un centro di potere dove la corruzione regna come altrove. La chiesa poi, nell’immaginario popolare, sono i preti. In questo caso, posto che l’atteggiamento dei giovani dipende dalle persone concrete che hanno incontrato, in generale la loro posizione è di benevola indifferenza; è inimmaginabile una chiesa senza preti, e tuttavia molti dichiarano di poterne fare tranquillamente a meno. Fa eccezione papa Francesco, per il quale i giovani hanno simpatia, affetto, ammirazione, come se non fosse al vertice di quell’istituzione. Papa Francesco è amato per il modo semplice con cui interpreta un ruolo così impostante, per il modo diretto di comunicare, perché rifugge degli atteggiamenti che in genere i “grandi” tendono di assumere. Così, molti giovani si allontanano dalla chiesa, diventando cristiani solitari, senza “famiglia”, senza confronto con nessuno, destinati a passare, spesso in un tempo breve, nella nutrita pattuglia di quelli che credono a modo loro: spesso verso la chiesa non avranno più obiezioni legate alla sua azione, ma obiezioni ben più radicali, di principio: metteranno in dubbio che la chiesa c’entri con il loro rapporto con il Signore. Che cosa chiedono i giovani alla chiesa? «I giovani chiedono una chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo» (Christus vivit, 41). Il frutto di questo ascolto dovrebbe portare ad un ammodernamento dei linguaggi, della cultura, delle indicazioni, per mostrare ai giovani di essere chiesa di oggi! I giovani le chiederebbero di rinfrescare il suo linguaggio; di rivedere le proprie posizioni su questioni oggi cruciali: quelle che riguardano la sessualità, la famiglia, l’omosessualità, la vita… I giovani chiedono alla chiesa un cambio di stile: più aperto, più dialogico, più interessato alle questioni della vita e del mondo. Punto di riferimento dei propri progetti di vita. Quando i giovani pensano alla chiesa in concreto, pensano alla messa domenicale, all’oratorio dove svolgono o hanno svolto attività formative, alla Caritas con cui hanno fatto ore o giorni di esperienza di volontariato. La messa della domenica si presenta con un carattere di obbligatorietà, ricevuto dal catechismo e qualche volta dalla famiglia; e questo non favorisce il coinvolgimento personale e interiore. Il linguaggio della liturgia, i suoi riti, i suoi simbolismi, sono difficili da capire da parte dei giovani che usano forme espressive molto diverse. Molti di loro si sentono estranei in una situazione in cui le persone sono una accanto all’altra senza relazioni vere tra di loro. Dove il clima umano della comunità cristiana è caldo, accogliente, attento alle persone, allora anche per i giovani quella diventa un contesto desiderabile, nel quale si è disponibili anche a darsi da fare perché, crescendo, si sente che diventa una comunità di appartenenza. I giovani hanno una richiesta di valorizzazione ancora più forte di quella degli adulti; e d’altra parte spesso sono quelli che meno vengono presi in considerazione, o perché ci si fida poco di loro, o perché – sappiamo com’è la vita delle nostre comunità – vi è una generazione adulta e anziana che non è disposta a far spazio, a cedere il passo, ad accettare modi diversi e nuovi d’impostare la vita pastorale. La formazione dei giovani passa attraverso un percorso catechistico che è messo in atto in genere dalla parrocchia e che si svolge al suo interno. Nella percezione dei giovani, anche quando l’esperienza è stata positiva e ha lasciato un buon ricordo, è identificata con ciò che appartiene al mondo dell’infanzia, a quella fase della giovinezza che occorre superare per diventare adulti. E quindi, crescendo, la si abbandona. A meno che… la comunità cristiana riesca a presentare una forma di vita cristiana adulta interessante, desiderabile e credibile per giovani che aspirano alla maturità. I giovani non ci stanno dicendo che rifiutano la chiesa, ma che la vorrebbero migliore, più umana, più moderna, più capace di fare ciò che proclama: mettere al centro le persone, soprattutto i poveri; essere esperienza di fraternità; essere luogo e scuola di solidarietà. È necessario interrogarsi su ciò che occorre fare, la percentuale dei giovani che non hanno più alcun rapporto con la chiesa, perché hanno smesso di sentirsi cristiani, a quelli che l’hanno abbandonata perché non la avvertono più come una “casa” abitabile per loro, ci si rende conto dell’erosione di presenza cui la comunità cristiana va incontro. Se vengono meno i giovani, nel giro di alcuni anni non vi sarà più chi prenderà il posto di quanti se ne andranno. L’effetto più drammatico di questa situazione riguarda la trasmissione della fede. Senza la comunità cristiana concreta finisce la trasmissione della fede: se non c’è una comunità, chi comunica la buona notizia? Chi garantisce che ciò in cui crediamo è il Vangelo del Signore, se manca chi, di generazione in generazione, può farci risalire fino a lui? Chiesa e trasmissione della fede sono strettamente connesse. Dalla trasmissione della fede passa il futuro della chiesa. I giovani stanno chiedendo alla chiesa una conversione profonda. Su questo aspetto, ancor più che su quello che riguarda Dio e la fede, è decisiva la qualità della comunità cristiana. Anche in questo caso i giovani, con le loro critiche, ci stanno mostrando di essere un fattore di innovazione, a vantaggio di tutti. Il loro rifiuto di una chiesa che nel concreto tradisce l’amore quotidiano e la passione per la vita che dovrebbero costituirla rappresenta una spina al rinnovamento. Da questo punto di vista, l’allontanamento dei giovani rappresenta per tutta la chiesa una grande responsabilità.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 18 Ottobre 2021

Rubrica "Fede e Società"

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