L'indirizzo umanistico: emozioni - sentimenti

A differenza degli animali, gli uomini non hanno istinti, che sono risposte rigide a uno stimolo, ma solo pulsioni a meta indeterminata, per cui a una pulsione aggressiva possiamo assegnare una meta che si esprime nella violenza, così come possiamo assegnargliene una che si traduce in una seria presa di posizione. Allo stesso modo, a una pulsione erotica possiamo assegnare una meta sessuale, così come possiamo sublimarla e metter capo a una composizione poetica o a un’opera d’arte. 

La differenza sta nell’educazione delle pulsioni, da cui gli animali sono esonerati perché sono regolati dagli istinti, che non prevedono un ventaglio di scelte nel comportamento e nelle mete da raggiungere (U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, capitolo 18). La mancata educazione delle pulsioni confina i ragazzi, fin dalla tenera età, a esprimersi unicamente con i gesti, invece che con le parole e i ragionamenti. Ne sono un esempio i cosiddetti “bulli”, coloro che compiono azioni riprovevoli senza la minima consapevolezza della gravità delle loro azioni. Fin da bambini accompagnati nella lettura dalle nostre mamme imparavamo, più per via emotiva che mentale, la differenza tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il buono e il cattivo, acquisendo in tal modo un regolatore emotivo che ci consentiva di “sentire” quando le nostre azioni erano buone o cattive, giuste o ingiuste. Senza un’educazione emotiva, oltre a non avere un’immediata consapevolezza della bontà o meno delle nostre azioni, si rimane a livello pulsionale. La scuola nei confronti dei “bulli”, che sono poi quei ragazzi il cui sviluppo psichico si è arrestato a livello pulsionale, dovrebbe accudirli meglio curati affinché possano acquisire la consapevolezza delle loro azioni, in modo da sentirle risuonare dentro di loro come buone o cattive, come gravi o lievi. Se le pulsioni sono naturali, se le emozioni sono in parte naturali e in parte orientate dalle differenti culture e dall’educazione, i sentimenti non li abbiamo per natura, ma per cultura. I sentimenti si imparano. E tutte le società, dalle più antiche a quelle di oggi, non si sono mai sottratte a questo compito. Fin dall’origine dei tempi, infatti, le prime comunità, attraverso narrazioni, miti e riti, insegnavano la differenza tra il puro e l’impuro, il sacro e il profano con cui circoscrivere la sfera del bene e del male, creando schemi d’ordine capaci di orientare i membri della comunità nei propri comportamenti. All’impurità era connesso il contagio, con conseguente reazione di terrore e procedure di isolamento, da cui si usciva con particolari pratiche rituali, magiche e scarificali. Oggi, per apprendere i sentimenti, non possiamo più ricorrere ai miti, però abbiamo quel grandioso repertorio  costituito dalla letteratura che ci insegna che cos’è l’amore in tutte le sue declinazioni, che cos’è il dolore in tutte le sue manifestazioni, che cosa sono la gioia, la tristezza, l’entusiasmo, la noia, la tragedia, la speranza, l’illusione, la malinconia, l’esaltazione. Tutte le scuole, dagli istituti tecnici ai licei classici e scientifici, sono scuole di  formazione. Si tratta di formare l’uomo. Le competenze si acquisiscono all’università. Perché non è un uomo chi è competente ma non ha alle spalle una formazione che gli consenta di svolgere con retto giudizio e adeguata comprensione la professione che in seguito sceglierà.

 

 

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