Collaborare con chi?

L’uomo è aggressivo di natura, la storia lo dimostra chiaramente. Non sappiamo cosa succeda al suo interno: possiamo vedere l’azione del lievito nella pasta, ma il lievito non lo vediamo. Ci sono comunque sempre più persone che si domandano concretamente dove stia andando a finire la nostra società. Non sta forse andando verso la rovina, velocemente, come una roccia che si è staccata dalla parete? Perché, dicono, non è che crolli una casa ogni tanto, sono tutte le fondamenta a cadere. 

Guardiamoci intorno: non c’è pace, non c’è giustizia, la vita è sempre meno sicura e soprattutto sempre meno gioiosa. Ci sono guerre, oppressioni e violenza: e dietro a ognuna di queste parole si celano fiumi di dolore e sofferenza. La serie è infinita: focolai di conflitti che si spostano continuamente. Terrorismo cieco e distruzione senza scopo. Tutti conosciamo la mappa della fame e sappiamo che i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Dappertutto leader mondiali si incontrano seduti a tavoli verdi, e il mondo viene sempre più spezzettato. Molti soffrono perché sono rimasti senza lavoro, altri, nel farlo, non provano più soddisfazione: i benefici della tecnica non vengono condivisi da tutti e il “progresso” ha un retrogusto amaro. Ma il dolore si cela in profondità: il nostro cuore è stanco e scoraggiato, è preoccupato: «Che cosa porterà il domani?». Tutta la società si chiude in sé stessa e si trasforma in un arcipelago costituito di innumerevoli isolotti dove ciascuno prova a sopravvivere con i suoi cari. I nostri tempi offrono possibilità infinite: tutto il mondo potrebbe diventare una grande famiglia, perché i mezzi di comunicazione hanno superato ogni barriera di distanza o di differenza culturale. Ma in tempi di insicurezza ognuno è per sé. Tutti siamo concordi nel dire che è necessario ridistribuire gli oneri, ma non riusciamo: ci si limita a cambiarli di posto. C’è una specie di lebbra del cuore che fa smarrire il coraggio e la fiducia con un senso di spenta rassegnazione. Scompare il piacere dell’iniziativa, è finita la carica, la molla è spezzata. E così si finisce per guardare soltanto quel che sta in tavola e sul conto in banca. Ma allora dov’è il Regno di Dio, quel regno di pace e di giustizia? Non c’è davvero più speranza, una via d’uscita? Ebbene sì, c’è speranza! Anche se siamo profondamente feriti, anche se facciamo fatica, la nostra libertà non è completamente preda del male. Questo non vuol dire che ce la possiamo fare senza la misericordia di Dio o la croce di Cristo, ma che anche nel più debole degli uomini rimane traccia della mano di Dio che l’ha creato. Se vogliamo uscire da questo mondo angusto per vedere come il Regno di Dio si stabilisca tra noi, dobbiamo nuovamente ascoltare i profeti. Sono i guardiani di ogni momento cruciale della storia, dove la verità rischia di degenerare o dove l’amore si sta raffreddando. Sono anche presenti ai giorni nostri, per chiamare male il male e bene il bene. I profeti accusano, ma mai senza fare delle promesse. E quelle valgono tuttora; anche di questi tempi, che conoscono così poca pace, le parole dei profeti rimangono immutabilmente vere. Sì, pace e giustizia, amore e fedeltà sono tuttora realizzabili. Noi, esseri umani, non siamo autonomamente in grado di stabilire la pace. È un dono di Dio, noi Lo imploriamo affinché il suo Regno venga. La pace non è un prodotto degli sforzi umani. La pace è donata, già prima di venire conquistata. Ogni pace umana è temporanea e instabile. La pace del Regno di Dio è dietro l’orizzonte verso il quale noi dirigiamo i nostri sforzi. Dio ci ama talmente da chiederci di collaborare con Lui alla realizzazione della pace con tutte le nostre forze. Dio ci fa anche questo onore.

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