Quando c’è perdita dell’energia vitale, come nel caso della depressione, ci ritroviamo dinanzi alla solitudine. A volte è un’esperienza violenta, a volte dolorosa. Come addomesticare questa solitudine interiore, esistenziale, che temiamo tanto? Quali virtù riconoscerle? E che cosa può insegnarci? Quanti di noi non tollerano la solitudine e la concepiscono solo sotto il suo lato peggiore? I fatti sembrano darci ragione perché la solitudine abissale esiste. Dolorosa, genera un vissuto particolare: vuoto interiore, scollamento temporale, paura dell’altro (malgrado il fantasma di un incontro felice), percezione negativa di sé alimentata dal sentimento di essere abbandonati e dimenticati da tutti, soliloqui frequenti (si parla da soli).
La solitudine dovrebbe essere considerata sotto un altro aspetto, che esige di non vederla più come un fine in sé («Ed ecco che mi trovo solo come un cane») ma come un mezzo infinito per conoscersi. C’è modo di addomesticare questa solitudine interiore troppo spesso bistrattata, ma ciò risulta difficile quando siamo obnubilati dalle seccature, come se fossimo deconcentrati da noi stessi da un’agitazione e una confusione permanenti. Infatti una dose di solitudine è necessaria se vogliamo rimanere fedeli a ciò che siamo e per non sentirci invasi o abbandonati. La mancanza dell’altro (come alcuni percepiscono la solitudine) non deve essere confusa con la mancanza di sé: quando si è soli, non significa che non c’è «nessuno». C’è il sé… Come addomesticare la nostra solitudine? Ciò suppone una sorta di appuntamento con se stessi, favorito da quei preziosissimi momenti – troppo rari – in cui siamo costretti a essere soli, o che scegliamo come «miniritiri». Considera ciò che diceva sant’Agostino: «Ho cercato Dio in tanti luoghi e alla fine l’ho trovato dentro di me». Raccogliti in solitudine e l’incontrerai in te stesso. Essa possiede delle qualità determinanti, specialmente nei momenti critici: se ne ricava allora un’energia dal potenziale impensato. Essa è il luogo – cercato a volte molto lontano – in cui possiamo rigenerarci, che ci offre l’opportunità di scavare in noi allo scopo di discernere l’essenziale del superfluo. Dentro di te c’è un silenzio e un santuario dove ti puoi ritirare in ogni momento ed essere te stesso. Chiarendo i nostri difetti, ci aiuta a scendere a patti con i nostri demoni, la cui potenza è inversamente proporzionale alla nostra conoscenza. Permette a noi, che utilizziamo quasi sempre gli stessi meccanismi di difesa (l’offensiva sistematica non appena ci sentiamo minacciati, la chiusura a doppia mandata per timore di essere abbandonati, ecc.) di difenderci con maggiore efficacia. La solitudine è per la mente ciò che il digiuno è per il corpo, fatale se troppo prolungato, eppure necessario. La solitudine mette in evidenza anche ciò che non siamo (o non siamo più), dissipando le illusioni che ci facciamo su noi stessi, sull’altro, sulla vita. Ci permette di accertare il nostro grado di vigilanza, a seconda che si sia addormentati, anestetizzati o sempre desti alla vita. Ci fa infine toccare con mano tutti quei soprusi, più o meno coscienti, che sono il letto della depressione: l’abuso d’indifferenza, che comporta una certa amarezza; l’abuso di denigrazione, avvilimento o collera; l’abuso d’amore, passività e paura. Quando il malessere s’insedia e si radica, si deve fare il bilancio o di una depressione o di un atteggiamento masochista in cui, bisogna ammetterlo, lo star male fa bene. Se la nostra cerchia di frequentazione è buona, la nostra sofferenza può attirare delle anime buone e pronte ad ascoltarci. I benefici secondari legati alla depressione sono, fin da quel momento, assolutamente rilevanti. È scontato che ci si senta male, ma essere così coccolati rende il malessere molto più sopportabile… E questo perché, suscitando l’interesse, il lamento ci procura un senso d’importanza, una qualche esultanza. Quando hai chiuso le porte e spento le luci, ricorda di non dire mai che sei solo, perché non lo sei: Dio è lì, il tuo spirito è lì, e che bisogno hanno di luce per vedere che cosa stai facendo?
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