La nostra è una società violenta e divisa. Nulla di nuovo. Ci siamo abituati a manomettere le cose, i legami, la nostra stessa interiorità, e a separare, classificare, costruire trincee, formare gruppi e fazioni. Maltrattiamo la natura, la devastiamo e la manipoliamo senza controllo e senza misura. Abbiamo spezzato il filo che lega le cose alla loro origine. La stessa cosa accade con le persone. Nei loro rapporti gli esseri umani si trasformano l’un l’altro in oggetti più o meno manipolabili o temibili, ben poche volte in esseri sacri. Sicché siamo propensi a ferirci, e a farlo nella stessa maniera in cui veniamo feriti.
Il bullismo nelle scuole spesso costituisce una guerra silenziosa e terribile, che può costare la vita a chi non trova rifugio nei propri amici, nella famiglia o nelle istituzioni. L’educazione nella fede deve sempre tendere alla mistagogia, che è la pedagogia del mistero, la ricerca volta a offrire un cammino di iniziazione alle realtà divine. La pandemia ha imposto al corpo di battere in ritirata. Lo ha sequestrato e, in qualche modo, lo ha nascosto. Con il termine «corpo» intendiamo la presenza della persona. Con il corpo e con le sue manifestazioni ci rapportiamo al mondo e agli altri. L’esperienza di reclusione a cui siamo stati sottoposti con la pandemia ha provocato una nuova forma di presenza che poteva fare a meno del corpo. La ritrosia, la timidezza in presenza altrui, la difficoltà ad assumerci il peso di ciò che diciamo perché non ci troviamo di fronte all’altra persona, l’intendere l’altro più come un contratto o un profilo digitale che come un essere personale hanno tolto a molti la capacità di entrare in relazione. Per la fede, il corpo è Cristo stesso nei fratelli e nelle sorelle. Che ne sarebbe di una fede soltanto spiritualizzata? Non sarebbe altro se non la ricerca del benessere interiore come di qualsiasi bene di consumo che si può ottenere tramite un’apposita esperienza. Ma il cristianesimo trova la salvezza personale nell’altro. Dio ama servirsi di mediazione, incarnarsi per raggiungere il cuore dell’uomo concreto. Il corpo di Cristo è la comunità, il legame, la comunione, la sinergia di amore, resa possibile nell’esperienza di essere gli uni con gli altri. L’incarnazione di Dio in Gesù si completa nella sua passione, morte e risurrezione, «cristificando» ogni realtà. Dobbiamo aiutare i bambini e i giovani a raccontare la loro storia, a riferire gli avvenimenti della loro esistenza, a trovare le metafore e le analogie appropriate per raccontarsi, perché in questo modo essi riusciranno ad accrescere la loro capacità interpretativa nei confronti della vita. La minimizzazione della messaggistica preconfezionata, tradotta in icone, emoticon e sticker, come pure la possibilità di accelerare l’ascolto dei messaggi vocali di WhatsApp o quella di eliminare ciò che si è detto generano instabilità, perché non assicurano la comprensione di ciò che è stato comunicato. Se non sviluppiamo nei bambini e nei giovani le strategie comunicative appropriate per farsi recettori attivi del messaggio, finiremo per parlare soltanto tra noi. Non esiste un io sostanzialmente puro, che poi entra in contatto con altri. La nostra identità soggettiva è fatta di relazione. L’esaltazione dell’ego, a cui siamo tentati di continuo, distrugge il «noi», spezza i legami sociali, fino a richiudere ciascuno di noi nel suo mondo individuale, dove vigono le leggi soggettive. Soltanto il «noi» ci salverà da questa tragedia dell’ego smisurato. Pertanto, dobbiamo sviluppare ciò che può generare comunità, vincoli condivisi, incontri, storie comuni. La fede cristiana è comunitaria, non solitaria. La si riceve dalla comunità. Nella capacità di riconoscerci limitati si manifesta il luogo giusto per relazionarci con il mistero di Dio. Se questo collocarsi nella piccolezza umana viene meno, si dilegua anche la meraviglia davanti all’immensità del divino. La pedagogia dello stupore cerca proprio di far sì che la nostra limitatezza non diventi un ostacolo frustante, ma piuttosto sia un trampolino verso l’ineffabile, il misterioso, lo sconosciuto che ci sostiene. La fede ha bisogno di svilupparsi. La vita richiede che scegliamo ciò che intuiamo come nostro, ciò che Dio ci invita a vivere. Ma non riusciremo a fare una scelta positiva senza tagli e senza rotture. In definitiva, se non c’è morte, non ci sarà risurrezione.
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