Con piacere vivere l'annuncio

La gioia nasce dal fatto di aver raggiunto un bene che si desidera, un bene che sazia ogni desiderio, in ultima analisi quel bene che è Dio. Più in particolare per il credente la gioia è legata al compimento della sua volontà, o di quel progetto che Dio ha sulla vita dell’uomo. Ma la gioia è e dev’essere anche nel cammino, nella ricerca, nel modo in cui il chiamato risponde al sogno di Dio sulla sua vita, anche se non sarà ancora una gioia piena. Non vi può essere gioia laddove uno si sente costretto o fa le cose per paura o semplicemente si adegua perché… non avrebbe alternative.

Anche perché nessuno può durare tutta la vita a farsi violenza o presumere di vivere perennemente di frustrazioni e rinunce, né può pensare di star lì a sforzarsi o costringersi a fare quel che è considerato il suo dovere, per quanto nobile esso sia o addirittura sia sentito come volontà divina: prima o poi l’equilibrio si rompe con danni anche pesanti a livello emotivo e nervoso. Chi fa il bene per forza, alla fine lo fa male (se addirittura non finisce per fare il male). Occorre capire, invece, che la gioia è parte dell’atteggiamento virtuoso, è necessaria per la santità. E che la virtù è tutt’altra cosa rispetto alla forzatura psicologica o morale. L’uomo virtuoso, è persona che ha sperimentato gusto e piacere dell’azione virtuosa e avverte la libertà interiore di fare qualcosa che l’attira sempre più, perché in quel gesto, in ultima analisi, ha scoperto e scopre sempre più la propria. Dostoevskij, per il quale segreto di una vita riuscita è impegnarsi ad agire per ciò che si ama e amare ciò per cui ci s’impegna. Per questo possiamo aggiungere senza esitazione che il piacere è necessario all’uomo. Se la gioia è legata al bene finale della vita e alla consapevolezza di tendere costantemente verso di esso, il piacere è la sensazione riflessa di felicità e benessere legata più in particolare alle singole azioni del soggetto, ai vari livelli (fisico, relazionale, passionale…). Il segreto di una vita equilibrata e gioiosa è la correlazione tra due sensazioni o tra i due beni, quello finale-totale e quello parziale-momentaneo; più precisamente occorre che il piacere, e il motivo del piacere, sia direttamente o indirettamente connesso con il bene finale della vita e il suo desiderio o, quanto meno, non sia in contrasto con esso. Per questa ragione, ad esempio, posso godere di un buon pranzo con il cibo che mi piace, o di una bella passeggiata in serena compagnia, se questo non m’impedisce di continuare a tendere verso i miei valori trascendenti di vita, o aiuta il mio fisico e rilassa la mia psiche per il compimento dei miei doveri. Altrimenti, quando cioè non è rispettata questa connessione e il piacere è cercato per se stesso, il piacere tende a diventare lui stesso l’assoluto, presentandosi come realtà capace di dare appagamento totale. Con tre conseguenze: la prima è quella di ridurre in tal modo il quadro ideale del soggetto stesso, restringendo e chiudendo la persona nel ristretto spazio di vita in cui quel gesto appartiene; la seconda è la ripetitività, per cui il piacere, dato che finisce con il cessare del gesto che lo produce, spinge la persona a ripetere continuamente quel gesto per illudersi di poter continuare a provare il gusto da esso prodotto; la terza conseguenza è la dipendenza, per cui, da un lato, il soggetto non può fare a meno di quella giustificazione, ma dall’altro, la “dose” degli inizi per procurarsi il piacere non basta più e dovrà sempre più aumentare, con la speranza di ottenere finalmente una gratifica piena. Ma è un’illusione. La realtà è, invece, che a quel punto la persona arresta, forse senz’accorgersene, quel cammino verso l’ideale che l’aveva attratta all’inizio, e si blocca nella ripetizione vana di gesti che le procureranno un piacere sempre troppo breve e traditore, spesso seguito da un retrogusto doloroso. A poco a poco l’individuo perderà di vista quella felicità alta per cui è fatto il cuore umano e di cui il piacere così cercato è solo una misera contraffazione.

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