Venne tra la sua gente

È possibile definire Gesù? Ci hanno provato in tanti. Un grande vescovo del IV secolo d.C., Gregorio di Nazianzo, ha messo in fila ben 32 titoli di Cristo: Dio, Figlio, Immagine, Verbo, Sapienza, Verità, Luce, Forza, Amore, Spirazione, Processione, Splendore, Fattore, Re, Legge, Vita, Porta, Fondazione, Pietra, Margherita, Pace, Giustizia, Santificazione, Uomo, Servo, Pastore, Agnello, Pontefice, Ostia. Primogenito di ogni creatura, Primogenito fra i morti, Risurrezione. La storia di questi duemila anni ci presenta una sterminata pinacoteca di ritratti del Nazareno: giovane pastore nell’arte catacombale, trionfante Pantocrator bizantino, il Cristo realistico di Durer, il moribondo pienamente umano di Michel, il Cristo torturato di El Greco, il Gesù alquanto liquoroso del tardo barocco, il Cristo di Rouault, di Matisse, di Chagall. 

Ed ecco un’altra serie di definizioni: Gesù è «il mediatore senza il quale ogni comunicazione con Dio è bloccata» (Pascal); «il simbolo dello Spirito umano» (Hegel); «un Socrate superiore e perfetto» (Rousseau); «l’alfiere dei cuori puri, dei sofferenti e dei falliti» (Nietzsche). Gibran, che definisce Gesù il «cavaliere del sogno più bello», e lo scrittore cattolico Mario Pomilio: «il Cristo ci ha collocati di fronte al mistero, ci ha posti definitivamente nella situazione dei discepoli di fronte alla domanda: “Ma voi, chi dite che io sia?”». Un uomo si riconosce dal suo sguardo. Degli occhi di Gesù non conosciamo il colore, ma dovevano possedere una forza magnetica, se i pescatori del lago di Galilea lasciano tutto e gli vanno dietro. Anche le folle ne restano ammaliate: lo seguono a fiumane e si dimenticano addirittura di mangiare. Quello del Nazareno doveva essere uno sguardo penetrante e avvolgente. Sguardo di tenerezza che si appunta sul giovane ricco, ma si vela subito di tristezza per la risposta abortita; sguardo percorso da lampi di collera nei confronti dei farisei ostinati che cercano di coglierlo in fallo; sguardo che si stampa per sempre nella memoria di Pietro che lo ha rinnegato. Incontrare un personaggio simile doveva essere un’esperienza fortissima. L’evangelista Giovanni era molto giovane quando si trovò per prima volta davanti a Gesù, sulle rive del Giordano, mentre con Andrea, fratello di Simon Pietro, ascoltava l’altro Giovanni, il Battezzatore, l’aspro asceta del deserto. Poi tutt’e due trascorsero una serata «magica». Diventato ormai vecchio, il discepolo prediletto amava ripensare al momento in cui Gesù lo aveva guardato per la prima volta. Spesso nei vangeli il verbo «vedere» riferito a Gesù si abbina al verbo «commuoversi». Per esempio, il miracolo della moltiplicazione dei pani inizia da uno sguardo d’amore e di pietà da parte del Maestro: «Sbarcando vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore». Un uomo si riconosce dalle sue mani. Forti e tenere, quelle di Gesù: Sembra che queste mani a lui servano solo per dare, mai per prendere o, quando le usa per prendere - ad esempio il pane - è solo per darlo alle folle affamate o ai discepoli nella sera del tradimento. E non solo il pane egli dà, ma si fa pane per darsi tutto a tutti: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo, che è dato per voi». Mani - le sue – per guarire gli indemoniati, i ciechi, i sordi, i muti; e mani per benedire. Mani che non si arrendono di fronte a nessun tabù; mani che sembra egli non riesca a trattenere, quando sono come calamite dalle piaghe purulente dei lebbrosi, o si sentono provocate dal più ferreo dei tabù, quello della morte. E allora lui «prende la mano» della figlia di Giairo, una ragazzetta di dodici anni appena morta, e le ritrasmette la vita. Mani che non temono di sporcarsi quando lui si china fino al punto più basso per un rabbi, fino a lavare i piedi dei discepoli. Lo stile del rabbi galileo è del tutto diverso rispetto agli altri maestri, che amano sedere in cattedra, ma è anche originale rispetto a quello del grande Battista, il quale se ne stava lungo il Giordano in attesa della gente che accorreva a lui. Gesù di Nazaret invece è come il pastore che non si gode la pace della sera se anche una sola pecorella s’è smarrita, o come la povera casalinga che diventa un ciclone in casa se perde anche solo pochi euro. Un uomo si riconosce dal suo cuore. Tutta la sua vita può essere racchiusa nel verbo «fare». Comunque, tra viaggiare, predicare, guarire, tante volte non gli resta neanche il tempo di mangiare. Eppure questo Gesù non si comporta da super-manager: sa concedersi la pausa di una cena, di una visita ad amici, di un dialogo notturno, di un sonno ristoratore. Ha gli occhi sgranati sulla vita e sulle vicende umane, questo Gesù non è un altro Battista, duro e inflessibile, sempre lì a minacciare i fulmini della giustizia divina. Lui no: si dice venuto non per condannare, ma per salvare. E più di una volta gli evangelisti lo sorprendono a piangere: alla vista di Gerusalemme, davanti al sepolcro di Lazzaro… questo Gesù dice di essere venuto non per essere servito, servire i suoi: quando vuole farlo loro capire fino a che punto egli è disposto a mettersi al loro servizio, si presenta con un asciugamano ai fianchi, e si mette in ginocchio a lavare i loro piedi. Non è un triste masochista o un pedante moralista: a forza di frequentare quelle che i benpensanti ritengono cattive compagnie, finisce per farsi prendere per «un mangione e un beone». E per il regno di Dio non sa trovare immagine più bella che quella di un festoso banchetto.

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