Un mondo secolarizzato?

Oggi è un mondo post-secolare: un mondo che non si pone nemmeno più il problema di Dio. Il Medioevo in Occidente ha visto l’identità tra Stato e Chiesa: uno stato, una religione. È quello che ancora oggi riscontriamo, soprattutto se lo sguardo si volge verso Oriente. Teocrazie e Chiese di Stato hanno risolto il problema al cittadino: la fede è parte integrante dell’essere membro di quella società. Le guerre di religione che hanno segnato l’Europa con fratture dolorosissime hanno portato alla tolleranza. L’unità dello Stato ammette la pluralità delle religioni. 

Essere praticanti rimane uno status diffuso, anzi persino auspicato dallo Stato: nessuno scandalo, tuttavia, se qualcuno pensasse di non frequentare alcun luogo di culto; anche l’ateismo avrebbe piena cittadinanza nella cerchia della tolleranza. I diritti sarebbero garantiti a tutti, senza distinzione, facendo della libertà il principio assoluto e chiedendo in cambio alle religioni di proteggere questi principi di tolleranza. La nascita degli Stati secolari, quelli cioè che hanno assunto una posizione assolutamente neutrale nei confronti delle religioni e andando a stabilire una impermeabilità netta tra la polis e il religioso. Vi è un diritto fondamentale a essere religiosi oppure non-religiosi, iniziando a garantire una lettura del mondo e della convivenza che sia protetta da convinzioni di parte. Mai fede, al massimo religione; mai Chiesa, al massimo comunità religiosa; non Natale o Pasqua, al massimo festività. I linguaggi dei credenti sono legittimi fino a che restano circoscritti all’interno della cerchia dei praticanti o comunque di quelli che vi si riconoscono, sapendo che il superamento di certi confini genererà ogni volta inutili tensioni con chi vi si riconosce. Il mondo post-secolare non ha nessun bisogno di definirsi neutrale rispetto alla religione: semplicemente non gli interessa. La religione è ritenuta talmente irrilevante che non si sprecano neppure parole o energie per affermarla. Che bisogno c’è di mettersi in dialogo con qualcosa che non ha più alcuna rilevanza? Si può rimanere del tutto indifferenti. «Che le convinzioni religiose o non-religiose possano essere giustificate o meno razionalmente o moralmente è una questione che riguarda le persone che le professano, ma in nessun modo una faccenda o un compito dello Stato». Lo Stato post-secolare non minaccia la fede degli individui, perché in fondo non è così diverso dal clima di secolarizzazione che ormai tutti abbiamo respirato dalla nascita. Con il mondo post-secolare non è impedito il cammino a chi voglia provare ad essere discepolo di Gesù o voglia aderire a qualche altra religione. Quello che cambia in modo radicale è il ruolo della Chiesa all’interno della società, destinato ad essere visto dall’esterno come un club di soci che hanno l’hobby della lettura del Vangelo. Facciano pure, solo che non pensino di convertire qualcuno! Quando addirittura non si affermi l’idea che quello è un posto malsano, e lotte di potere, o peggio ancora che voglia riportare indietro le lancette della storia verso un tipo di società che oggi verrebbe rigettato al pari di qualunque Stato religioso che si volesse imporre in Occidente. Il mondo post-secolare non spaventa i singoli credenti, che sono alla fine gli stessi di prima: hanno solo maturato il disincanto verso tutti quei sogni che sono arrivati loro dell’ultima generazione scomparsa. I singoli e le piccole comunità possono continuare a vivere il loro cammino di fede, a patto però di lasciar cadere molte aspettative relative alla Chiesa come istituzione, al suo ruolo pubblico, alla sua capacità di organizzarsi e di rispondere ai bisogni delle persone. La domanda sulla configurazione della Chiesa e sul ruolo pubblico è dirompente. A livello individuale la domanda di senso e le crisi esistenziali continuano a rimordere le coscienze, e dunque per la fede dei cristiani sono garantiti tanto la condizione di possibilità quanto lo spazio per una testimonianza. La Chiesa cattolica non ha più la forza di reggere tutti i presidi territoriali con i suoi funzionari; ma soprattutto non interessa più a nessuno che lo faccia, se non a lei stessa. Alla società questo compito non importa, salvo invocarne la presenza nei settori caritativi dopo averla esclusa da tutti i tavoli decisionali. Nella città post-secolare e tra i suoi cittadini, chi sono chiamati ad essere le guide delle comunità cristiane? Se si ridefinisce la funzione, ne deriva che andrebbe ripensato anche l’iter formativo di coloro che un domani dovranno svolgere il ministero pastorale.

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