Da qualche decina di anni fa, la fede era offerta come consolazione per le vite più sofferte, per i sacrifici e le ingiustizie che sembravano ineluttabili. Oggi non è più così. Per le ingiustizie si cerca un rimedio culturale, politico e sociale. Moltissime persone non credenti lottano per un mondo più giusto, per la salvaguardia del creato, per la liberazione di coloro che sono oppressi, e non poche volte si scandalizzano di credenti che minimizzano le ingiustizie mondiali e la violenza sul creato. Può resistere la fede nel Dio di Gesù, però, senza che la fame e la sete della giustizia impediscano di accontentarsi di spostare a chissà quando la consolazione per chi soffre?
Il senso dell’esistenza infatti non è più ad esclusivo appannaggio della fede; molte sono le narrazioni che producono senso nella nostra epoca e ciascuna sa - anche quella che sorge dalla fede cristiana – che non può spiegare tutto o collocare ordinatamente ogni elemento in una sola teoria, perché la realtà si è rivelata complessa e sfugge drammaticamente a ogni riduzione. Nessuno può spiegare tutto, credenti compresi, per cui se si cerca in Dio un punto di appoggio a partire dal quale elaborare una spiegazione del tutto, credenti compresi, per cui se si cerca in Dio un punto di appoggio a partire dal quale elaborare una spiegazione del tutto, si rimarrà inevitabilmente delusi. C’è da chiedersi d’altra parte se Dio possa essere questo e se questo ruolo di ordinatore del mondo si addica al Dio vivo di cui le Scritture ci raccontano, o sia solo la fuga razionale della paura umana, come molti filosofi hanno avuto il coraggio di denunciare. In sintesi sarà difficile restare credenti se questo dipende dalle tradizioni ricevute o dalle pratiche diffuse nel contesto sociale, ma sarà difficile restare credenti anche se si cerca in Dio chi curi le nostre ferite emotive o chi ci prometta una compensazione per le sofferenze, o se si cerca in lui la base per una spiegazione ordinata o omnicomprensiva di una realtà così pesantemente contraddittoria. Tutte queste, che pure in passato potevano essere vie per arrivare a incontrare Dio vivente, oggi sono tentazioni da cui guardarsi se si vuole entrare e rimanere fermi nella fede cristiana. Come è bene stare in guardia dalla tentazione di vedere nella fede la garanzia di un ordine sociale e morale ricevuto dal passato e acriticamente eletto a immutabile: di fronte all’incedere ineluttabile della storia e della comprensione umana dei significati e dei valori. Basti pensare l’evoluzione nella comprensione della sessualità, della condizione femminile, dell’ordine sociale, della libertà di coscienza ecc., una fede di questo tipo diverrà prima conflittuale e poi del tutto estranea alla realtà in cui le persone si trovano a vivere. Forse cinquant’anni fa si poteva restare sposati senza amore, senza intesa, senza una relazione vivificante onorando un sistema di valori, sotto precise pressioni sociali, dentro un orizzonte di significati ben diverso da quello odierno. Oggi si può rimanere sposati solo se la relazione che si vive è sperimentata come buona e vivificante, almeno un po’. Similmente, dall’altra parte, la fede è questione di attrazione per una bellezza e di amore, non si può essere credenti per abitudine, per tradizione sociale, per interesse, per vantaggi psichici, materiali o culturali. Si può mantenere la fede, anzi la si accresce continuamente, solo lasciandosi affascinare sempre più dallo stile, dalle parole, dall’agire di Gesù, lasciando che tutto questo prenda carne nei nostri gesti, nel nostro impegno quotidiano, nei nostri sentimenti.
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