Misericordia e amicizia

Dio mostra la sua fedeltà anche se l’uomo viene meno alla sua parte. Così la sua fedeltà diviene fedeltà misericordiosa. Non però una misericordia che nasce dalla compassione, ma dalla fedeltà. Dio è fedele a sé stesso e mantiene la sua parola nonostante tutto. Si tratta di una ostinata solidarietà. La pienezza della misericordia di Dio si trova in Cristo. Nel mistero pasquale… Dio ci appare per quello che è: un Padre dal cuore tenero, che non si arrende dinanzi alla gratitudine dei suoi figli ed è sempre disposto al perdono. 

Questa solidarietà trova il suo vertice nella morte in croce e cioè non soltanto un morire per noi nel senso di un gesto che ripara il peccato, ma è ancora prima una trasparenza dell’amore di Dio e della sua ostinata alleanza nei nostri confronti. È una rivelazione.

 La novità evangelica è l’offerta del perdono. Gesù non proclama un generico appello al perdono, ma va concretamente in cerca di peccatori: il suo non è un semplice annuncio, ma accoglienza. Così la chiamata del pubblicano Levi che si conclude con l’affermazione: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17) e poi la donna peccatrice (Lc 7,36ss), l’adultera (Gv 8, 1-11), Zaccheo (Lc 9, 1-10), il buon ladrone (Lc 23, 40-43). Egli è l’accoglienza verso i peccatori (Lc 7,36-50). Una donna, non invitata, entra nella sala del banchetto. Ma questa donna, conosciuta da tutti come peccatrice, non si limita ad osservare: si butta ai piedi di Gesù, li cosparge di profumo e versa lacrime di pentimento per i propri peccati e di consolazione per il perdono ottenuto. Il ricco fariseo si meraviglia e si scandalizza: se Cristo fosse un profeta, dovrebbe sapere che si tratta di una peccatrice e dovrebbe impedire di essere toccato da lei. Dunque Simone ragiona come tutti: Dio non deve contaminarsi con i peccatori, la sua gloria si manifesta nella separazione, e il suo amore deve distinguere fra giusti da frequentare e peccatori da evitare. È la solita polemica non solo morale ma teologica. È in gioco la concezione di Dio. E Gesù risponde al fariseo, non solo dimostra di conoscere quella donna e quindi di essere profeta, ma rivela di avere un’altra concezione di Dio, del suo amore e del suo comportamento. Il Dio di Gesù Cristo è il Dio della misericordia verso i peccatori.

Non è che i farisei escludessero definitivamente i peccatori. Volevano però che il comportamento di Dio nei loro confronti fosse severo e che, di conseguenza, i peccatori per ritornare nella comunità dovessero pagare un prezzo di penitenza, di opere e di osservanze. Non accettano, dunque, un comportamento benevolo di Dio, come appunto quello di Gesù. Nel Vangelo di Luca (Lc, 15): «Ci sarà gioia nel cielo più per un peccatore che si converte, che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione»; «Gli angeli di Dio fanno grande festa per un solo peccatore che si converte» (vv. 7 e 10) e noi che ci sentiamo amati dobbiamo godere, come Dio, della conversione del peccatore. Gesù con l’incarnazione inaugura un’era eccezionale di grazia, un giubileo permanente di misericordia.

La misericordiosa protezione di Dio nei confronti dell’uomo e della donna, in ogni caso, non viene mai meno per entrambi. Il linguaggio simbolico della Bibbia ci dice che prima di allontanarli dal giardino dell’Eden, Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelle e li vestì (cfr Gn 3,21). Questo gesto di tenerezza significa che anche nelle dolorose conseguenze del nostro peccato, Dio non vuole che rimaniamo nudi e abbandonati al nostro destino di peccatori. San Paolo dice «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Cristo, nato da donna, da una donna. È la carezza di Dio sulle nostre piaghe, sui nostri sbagli, sui nostri peccati.

Ma Dio ci ama come siamo e vuole portarci avanti con questo progetto. Abbiamo un Padre celeste, che lascia libero ciascuno di noi ma non ci lascia mai soli. E se sbagliamo, Lui continua a seguirci con pazienza senza diminuire il suo amore per noi. Il Padre celeste non fa passi indietro nel suo amore per noi, mai! Va sempre avanti e se non può andare avanti ci aspetta, ma non va mai indietro; vuole che i suoi figli siano coraggiosi e facciano i loro passi avanti. Noi, suoi figli, non dobbiamo aver paura dell’impegno di costruire un mondo nuovo.

Nel vangelo di Giovanni, Gesù annuncia: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,5). La relazione di amicizia tra Gesù e i suoi discepoli, tra il Padre e il Figlio, sembra delinearsi come modello paradigmatico di una relazione. Questa relazione è nuova, inedita. L’amicizia è messa al posto del principio autoritario padrone-servo.

 

Gesù si pone in una relazione di amicizia, non sfrutta il proprio vantaggio, la conoscenza del Padre, non impone la propria autorità, non si difende attraverso il proprio status; al contrario, condivide la propria esperienza, testimonia la propria conoscenza con la propria vita.

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