Libertà di coscienza

È vero che esiste un certo privilegio del dato soggettivo dell’azione. Dice lo stesso S. Tommaso che coscientia erronea obligat. L’uomo deve sempre agire secondo la propria coscienza, anche se essa per caso fosse sbagliata. Questa espressione, a cui alcuni hanno voluto attribuire un profondo significato, dandole una torsione in senso soggettivistico esprime in realtà una verità abbastanza banale. Chi sbaglia non sa di sbagliare. Se lo sapesse non sbaglierebbe. Se insistesse a fare la cosa sbagliata sapendo che è sbagliata la sua coscienza non sarebbe più erronea ma malvagia. Non è possibile trarre da questo aforisma di S. Tommaso nessuna conseguenza relativista. 

Chi si sbaglia in buona fede desidera vedere corretto il suo errore ed il suo migliore amico non è chi collude con il suo errore ma chi lo aiuta a correggerlo. Ognuno, del resto, ha il dovere di cercare la verità con tutto il suo cuore, cioè ha il dovere di formare la sua coscienza. Se non trova la verità perché non la cerca allora la coscienza erronea sarà contemporaneamente anche colpevole.

L’uomo è prima di tutto un essere chiamato a conoscere la verità e chiamato alla verità. Ciò che è specifico dell’uomo è l’essere capace di verità. S. Tommaso ci dice che la persona è un ens intelligens et liberum. L’intelligenza, che caratterizza la persona, è appunto la capacità di verità. Ma cosa è la libertà? La libertà è la capacità di dare o negare il proprio assenso alla verità conosciuta. La coscienza è la capacità di rispecchiare, interiorizzare e vivere dall’interno come propria la verità conosciuta. In tal modo la verità conosciuta viene propriamente riconosciuta.

Attraverso l’atto della coscienza che riconosce, ama e quindi rielabora e ripropone nel proprio mondo interiore la verità conosciuta, l’uomo crea il proprio mondo interiore, dà forma alla propria interiorità e diventa quindi buono o cattivo dal punto di vista morale, cioè semplicemente e complessivamente, buono in quanto uomo.

L’uomo è creativo perché il mondo in cui viviamo non è semplicemente il mondo creato da Dio. È il mondo ricreato dall’uomo attraverso il proprio lavoro. Il lavoro dell’uomo, tuttavia, non si svolge in un vuoto. Esso si applica sempre ad una materia che lo precede, e questa materia ha una sua natura che l’uomo deve conoscere per poterne sfruttare le potenzialità. Se l’uomo non riconosce la struttura oggettiva della materia a cui applica il proprio lavoro, tale lavoro rimane inefficace oppure ottiene anche risultati diversi ed opposti a quelli voluti. Lavorare pone però un problema conoscitivo non solo dal lato dell’efficienza pragmatica ma anche quello dell’assunzione di una responsabilità morale. È infatti possibile conoscere una realtà in modo corretto e poi fare un uso moralmente sbagliato della conoscenza acquisita. L’uomo ha infatti un dovere verso l’ordine dei valori, che sono anch’essi oggetto di conoscenza.

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