Occhi nuovi e preghiera a Cristo

In occasione del 15 Agosto, “Festa della Assunta in Cielo”, con voi medito dei testi di Tonino Bello.

Gli occhi che abbiamo sono troppo antichi. Fuori uso. Sofferenti di cataratte. Appesantiti dalle diottrie. Resi strabici dall’egoismo. Fatti miopi dal tornaconto.

Si sono ormai abituati allo scorrere indifferenti sui problemi della gente: ed ecco la solitudine, le frustrazioni, gli esaurimenti, in chi ci passa accanto.

Sono avvezzi a catturare più che a donare: ed ecco il tedio del vivere e la libidine del morire che scuote chi non si sente più oggetto di uno sguardo di tenerezza.

Sono troppo lusingati da ciò che “rende” in termini di produttività: ed ecco l’accantonamento dei malati cronici, l’emarginazione dei dimessi dagli ospedali psichiatrici, l’esclusione degli anziani, l’uccisione degli indesiderati nella loro prima culla di carne.

Sono così scossi dagli spasimi dell’ingordigia, che prosciugano tutto come due idrovore senza dare mai nulla: ed ecco il pianto degli indifesi, la tristezza di chi si vede scavalcato da tutti, la fame di chi non trova posto al banchetto della vita.

Sono così vittime di quel male oscuro dell’accaparramento, che selezionano ogni cosa sulla base dell’interesse personale: ed ecco la crisi da insuccesso professionale, lo sbando dei disoccupati, l’amarezza di chi non ha sfondato nella vite, l’umiliazione dei sottopagati.

La colpa di tante nuove povertà sono questi occhi vecchi che ci portiamo addosso.

Di qui, la necessità di implorare “occhi nuovi”.

Occorre chiedere “occhi nuovi” perché, risalendo alle cause ultime, si renda sterile l’utero sempre gravido che genera i mostri delle nostre povertà.

Perché, fino a quando non aggiorneremo gli occhi, si troveranno sempre pretestuosi motivi per dare assoluzioni sommarie alla nostra imperdonabile inerzia.

Il volto di un uomo è fatto irripetibile. Il volto di un uomo, con la sua individualità unica, con la sua esclusiva ricchezza spirituale, con tutta la sua valenza di dono, non tornerà mai più a illuminare la terra.

Ecco allora la ricerca del volto del prossimo come fondamentale allenamento di pace. Ricerca del volto, non della maschera. Scoperta del volto, non lettura della sigla. Contemplazione del volto, non gelida presa d’atto della “funzione”. Accarezzamento del volto, non adulazione cortigiana del ruolo. Rapporto dialogico tra volto e volto, non litigiosità feroce tra grinta e grinta.

Se fossimo capaci di dire: “Il tuo volto, fratello, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”, la causa della pace sarebbe risolta.

Riconciliamoci con i volti. Col volto di ogni fratello, scrigno di tenerezze e di paure, di solitudini e di speranze. Col volto fosco del nemico, redento dal nostro perdono. Ci riconcilieremo così col volto di Dio, unica terra promessa dove fiorisce la pace.

 

Preghiera a Cristo

Dobbiamo confessarlo: siamo un po' sgomenti.

La cultura tecnologica e cibernetica può avere da spartire qualcosa con te, Signore?

La cultura radicale che sembra in fase di rimonta può riservare altari al tuo nome?

E le culture postmoderne, postindustriali, postmarxiste… contemplano nel loro areopago tribune per farti parlare di risurrezione?

E la cultura dell’economia e del mercato potrà mai riservare nei suoi giochi di borsa un angolo per la dramma perduta?

E sul terreno del consumismo e dell’efficienza si troverà una buca per piantarvi il tuo «misterium crucis»?

E nella cultura della guerra, che ogni tanto celebra inquietanti «revivals», potrà mai trovare riverberi il perentorio comando: «Tu non uccidere»?

E alla cultura del razzismo e del nazionalismo e del blocco rassicurante delle leghe, la cui logica ultima criminalizza il diverso espungendolo dal suo tessuto, come rendere proponibile l’evangelico richiamo all’esistenza conviviale?

E nella cultura della violenza e della droga e del sesso, dove «eros» e «thanatos», invece che essere rivali, giocano la stessa tragica partita del disfacimento e del nichilismo, c’è qualche zona franca dove consegnare la nostalgia del tuo volto?

E la cultura massmediale, di cui si ovattano i nostri giovani, riserva zolle segrete per la fecondazione del tuo Verbo?

E alla cultura della musica e dell’arte è possibile far intendere che lo struggente, insoddisfatto bisogno di comunione, inscritto nei ritornelli delle canzoni o nei cromatismi di una tela, è il sacramento dell’inquietudine che può placarsi solo in te, Signore?

Tu lo sai, perciò ti imploriamo: discendi, ancora una volta, agli inferi. Tu, semente che si disfa, entra nelle zolle delle umane culture.

 

E noi, non più sgomenti, come dice un poeta “staremo ad ascoltare la crescita del grano”.

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