Altruisti si nasce e si diventa

La società ha ben certamente molto da guadagnare da un'adeguata educazione all'altruismo nelle sue varie forme e gradazioni (che non è patrimonio del solo volontariato) e questa deve partire dai primi anni di vita. Non si deve però dimenticare che uno dei principali fattori di sviluppo della socialità positiva a beneficio degli altri (del comportamento prosociale, della compassione e dell'altruismo) è l'esperienza di una sicurezza affettiva (frutto di un buon attaccamento affettivo fin dai primi anni di vita) e la presenza di modelli positivi (di amore altruistico) con i quali il bambino si possa gradualmente identificare.

Il “comportamento di aiuto” ha sempre (anche se non cercati e non voluti) effetti positivi su chi lo compie a livello di salute nelle sue dimensioni mentali (controllo emotivo, miglioramento dell'autostima, aumento del senso di sicurezza, inibizione del senso di colpa, superamento del sentimento di invidia, ottimismo, eccetera) come anche in quelle fisiche. 

Nell'aiutare gli altri anche il buon samaritano riceve qualche vantaggio personale.

I valori ai quali si crede non sempre fanno la differenza a livello dell'agire. Certo il problema è capire di quale credere stiamo parlando: di quello che fa veramente parte della propria vita o di quello che usiamo quando, in qualche modo, ci serve.

Questo chiama in gioco la serietà della nostra formazione morale e del nostro credere ai valori, come anche la nostra libertà e responsabilità personali, ma ci deve anche mettere in guardia sul fatto che ci sono tutta una serie di fattori di cui non abbiamo piena coscienza quando agiamo e che condizionano anche l'espressione (e la tipologia) dei nostri comportamenti di aiuto. La cultura in cui siamo immersi ha, in questo senso, un ruolo condizionate e non marginale.

Benedetto XVI in una lettera alla diocesi della Città di Roma scriveva: «Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme».

C'è da constatare che l'esperienza giovanile di volontariato esercita i suoi effetti nel momento storico.

Il volontariato, con le sfide che propone, favorisce la consapevolezza delle abilità e conoscenze possedute e delle capacità di agire nel mondo. Aumenta nei giovani l'autostima, la fiducia in se stessi e l'accettazione di sé.

Il volontariato migliora la capacità di connessione sociale e le relazioni sociali dei giovani con le figure e i gruppi di riferimento. Aumenta la comprensione degli altri, le componenti affettive dell'empatia (simpatia e compassione per gli altri) e permette un miglior confronto con prospettive diverse e un cambiamento dei pregiudizi. Favorisce comportamenti prosociali e previene quelli antisociali.

Il volontariato migliora la comprensione del sistema sociale in cui i giovani sono inseriti e la capacità di collocare se stessi rispetto a coloro che hanno bisogno. Fa sperimentare l'opportunità di poter agire per cambiare qualcosa nel mondo.

Il volontariato rappresenta anche una delle modalità di invecchiamento produttivo più diffuse nelle persone anziane. Gli anziani impegnati nel volontariato esprimono più alti livelli di soddisfazione di vita e di benessere sul piano sociale e affettivo. Questo anche perché riescono a mantenere un ruolo attivo all'interno della società e un elevato senso di competenza e di controllo sulla propria vita. Ci sono benefici che riguardano anche la loro salute fisica e psichica.

 

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