Non sprecare le parole

La preghiera è relazione con Dio, è il veicolo del nostro dialogare, è il punto in cui si incontrano il cielo e la terra. Le grandi leggi del cielo vengono a noi. Proprio come è scritto nel Padre Nostro: come il cielo, così la terra. È il dialogo privilegiato senza veli e senza fronzoli, è ritagliare un tempo e uno spazio, di raccoglimento, di confidenza con Dio in cui la nostra anima si eleva e raggiunge l’altezza di Dio.

La preghiera è una grande, potente forza di bene. È capace di contrastare il male, di pulire la testa e il cuore, di calmare, di rendere grazie, di riempire di gioia, salvare dove l’uomo non è più capace di salvare. La preghiera è la forza dello Spirito che entra e scompiglia tutto. E rimette in ordine la lista delle priorità.

La preghiera è per gli altri. Papa Francesco su questo è molto insistente. Preghiamo gli uni per gli altri! Se lo facciamo frequentemente, ogni giorno, il nostro cuore non si chiude, rimane aperto ai fratelli. Pregare per gli altri è il primo modo di amarli e ci spinge alla vicinanza concreta. Anche nei momenti di conflitti un modo di sciogliere il conflitto, è pregare per la persona con la quale io sono in conflitto, e qualcosa cambia con la preghiera, la prima cosa che cambia è il mio cuore, il mio atteggiamento, il Signore lo cambia per rendere possibile un nuovo incontro ed evitare che il conflitto divenga una guerra senza fine.

Nella preghiera siamo completi, siamo tutt’uno con noi stessi: cuore, corpo, mente. Ma siamo anche tutt’uno con ciò che ci circonda: la natura maestra, i fratelli malati, quelli che stanno in sofferenza, il male che viene compiuto lontano da noi, ma che invade tutto il mondo.

«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6, 7-15).

Eppure, noi siamo pieni di parole. Quante preghiere abbiamo formulato oltre a quella – l’unica - insegnataci da Gesù e oltre a quelle che, anche in forma di salmi, sono raccolte nell’Antico Testamento. Ogni epoca porta con sé parole nuove e nuovi modi di esprimerle e mi rasserena pensare che noi cristiani non siamo rimasti impermeabili a questo flusso vitale.

Nel Getzemani, Gesù indica il motivo per cui pregare: per non cadere in tentazione. Lo scopo della preghiera è che le azioni, i pensieri, i sentimenti, l’interiorità non escano dalla via del Vangelo. La preghiera serve a questo: che il discepolo non segua vuoti pensieri, non faccia crescere nel cuore sentimenti diversi da quelli di Cristo, non si comporti come i figli delle tenebre. Nella preghiera che si muove nella consapevolezza della possibilità di cadere nella tentazione, il discepolo vive il discernimento sulla propria vita.

Ciò che accade nella preghiera è l’esperienza di un profondo atteggiamento di abbandono alla volontà di Dio e di fiducia in lui. Si tratta di un atteggiamento interiore così profondo da generare comportamenti corrispondenti. Gli uomini di oggi, infatti, sono così preoccupati di affermare se stessi, le loro capacità, la loro volontà, che la preghiera, che chiede loro di abbandonarsi a Dio e di avere fiducia in Lui, appare decisamente assurda.

La preghiera dal discepolo è costante. Varieranno i modi, le situazioni della vita, l’intensità del dialogo e i tempi, ma essa deve segnare tutta la vita del discepolo. Di più: l’esaudimento della preghiera, che è sempre la pacificazione dell’animo e della vita, si compie nel tempo. Il ricordo alla preghiera una tantum la espone all’insignificanza nella dinamica interiore e nei frutti della vita.

«La preghiera è anzitutto risposta alla Parole di Dio che per prima mi interpella e mi raggiunge nella mia debolezza, ma anche nel mio silenzio e nella mia disponibilità all’ascolto. La preghiera è lasciarsi accogliere nel mistero santo» (card. Martini).

Le scritture ci dicono in fondo che la base del nostro stesso essere è in Dio e questa non è questione di dipendenza, o forse si tratta di una dipendenza particolare e alquanto più profonda e cioè ricordare che alla fin fine c’è qualcosa di divino in noi. «L’uomo è immagine di Dio solo quando ama, diversamente non è neppure un uomo», scrive padre Turoldo. E nella preghiera questa dimensione vibra e risuona.

Bonhoffer, altro grandissimo maestro, dice: «Dio esaudisce sempre, ma non le richieste, bensì le sue promesse», perché sono promesse di bene, di vita, sempre. Dunque sollecita a pregare sempre; il che non equivale semplicemente e soltanto a dire delle preghiere, a recitarle. Perché pregare è un po' come il voler bene, che non vuole un tempo scandito; se vuoi bene è sempre, qualsiasi cosa stai facendo.

Quando uno ha Dio dentro, non occorre che stia sempre a pensarci. «Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. Io prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo. Io non prego perché cambi Dio, io prego per caricarmi di Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose». (Padre Turoldo).

 

Gesù ha avuto bisogno certamente di momenti appartati di preghiera e di isolamento dal mondo, ma non negava la vita quotidiana e feriale, la vita vissuta non lo svuotava ma la faceva diventare preghiera. Nella preghiera qualificava le situazioni che stava vivendo.

 

di don Salvatore Rinaldi

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 5 febbraio 2024

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