Strada in salita

Gli uomini moderni valutano le esperienze secondo il criterio del benessere che esse sono capaci di produrre. La vita spirituale, come rielaborazione della propria vita alla luce del Vangelo, è possibile solo nella comprensione del nesso libertà-amore.

 

Gesù di Nazareth, certamente il più audace dei rivoluzionari, lasciò i suoi genitori per andare ad occuparsi delle "cose del padre suo" all'età di 9 anni, senza lasciarsi intimidire dagli "anziani" che insegnavano nel tempio, e disse "la sua" fino alla fine.

Tutta la potenza creativa, generativa, rivoluzionaria dell'uomo sembra essere racchiusa nella tanto critica età dell'adolescenza, la nostra "seconda nascita" (Pellizzari), dove il pensiero non ha confini e l'incoscienza ci offre la possibilità di rischiare. Accettare il rischio non significa gettarsi nel pericolo, ma cogliere la sfida che la vita stessa ci pone. Così i giovani sono spesso maestri nella strada in salita: dare di più, trovare se stessi, cercare la Verità. Mi pare di intuire che i ragazzi abbiano bisogno di spazi di ascolto, anche come risposta alle domande inespresse che gli eventi di questo tempo difficile hanno portato con sé. I ragazzi hanno un vantaggio: non hanno letto i documenti della Chiesa, non sanno citarli a memoria, non leggono le encicliche e neanche le pubblicazioni statistiche sulla partecipazione  alla Messa domenicale; non leggono le interpretazioni dei fatti, li vivono. E vivono le cose per come gli si presentano, spesso hanno come primo criterio di discernimento quello emotivo. Leggono il Vangelo con la freschezza di chi legge il testo per quel che c'è scritto e per come la Parola ti tocca personalmente. Talvolta è letto come qualsiasi altro testo, mettendolo accanto a brani del tutto estemporanei, perché talora la dimensione spirituale non è ancora o non compiutamente fede cristiana.

Si scandalizzano quando intravedono personalismi, si sentono istintivamente prossimi allo scandalo della Croce, colgono nell'uomo del Vangelo uno stravolgimento delle logiche del mondo.

Quando sentono parlare di "Chiesa povera" si scandalizzano perché non vedono una Chiesa povera, al contrario una Chiesa ricca, che non si sveste delle proprie ricchezze per i poveri. Lo dice ma non lo fa. Anzi, è oberata dalla gestione del patrimonio. Colgono le dinamiche del potere, in particolare quelle del potere sulle persone, che è uno dei rischi di chi guida una comunità.

Noi adulti conosciamo i documenti della Chiesa sul ruolo dei laici, ma sappiamo anche che, inaspettatamente, la diminuzione crescente del numero dei sacerdoti non sta portando ad un'apertura alla partecipazione dei laici - e tra questi delle donne - se non in modi e ruoli del tutto ancillari, di animazione, o di ordine molto pratico e manuale. Ci si sarebbe aspettata nella Chiesa un'apertura in termini di responsabilità nella comunità, nella liturgia, nell'annuncio e nel commento delle Scritture e nell'accompagnamento spirituale. L'impressione è che si vada in direzione ostinata e contraria.

Mi pare che i nostri ragazzi conoscano una Chiesa sempre più clericale, dei chierici ordinati, non delle comunità locali.

Eppure la dimensione eucaristica e di annuncio della buona notizia, il cuore della nostra fede richiede l'incontro con testimoni autentici, veri e credibili e comunità cristiane dove viverla.

Tra i tanti meriti di Papa Francesco c’è anche quello di guardare la realtà della crisi con coraggio. Nel suo discorso alla fine del 2020, così parlava della crisi della Chiesa: «La crisi è un fenomeno che investe tutti e tutto… Si tratta di una tappa obbligata della storia personale e della storia sociale. Si manifesta come un evento straordinario, che causa sempre un senso di trepidazione, angoscia, squilibrio e incertezza nelle scelte da fare. Come ricorda la radice etimologica del verbo krino: la crisi è quel setaccio che pulisce il chicco di grano dopo la mietitura». Papa Francesco scrive: «… Ci viene chiesto di riformarci, non – in questo caso - a parole, ma con comportamenti che abbiano il coraggio di metterci in crisi, di accettare le conseguenze. E tutte le riforme cominciano da se stessi…».

 

Dobbiamo rimettere al centro la Parola, la storia e la vita di Gesù che certamente non ci ha lasciato encicliche: solo il suo esempio e ciò che ha fatto hanno detto più di tutte le spiegazioni. Liberiamoci dalla presunzione delle certezze e apriamoci a cogliere tutte le provocazioni che il mondo di oggi ci propone: Dio parla nella storia presente e non solo nelle nostre chiese! Vorrei avere un frammento infinitesimo della fede del Papa quando ci invita a pregare così: «Non conosciamo alcun’altra soluzione ai problemi che stiamo vivendo, se non quella di pregare di più e, nello stesso tempo, fare tutto quanto ci è possibile con fiducia. La preghiera ci permetterà di “sperare contro ogni speranza» (cfr Rm 4,18).

 

di don Salvatore Rinaldi

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 12 febbraio 2024

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