Il Laico e la Liturgia

La noia gioca un ruolo importante nell’abbandono delle pratiche religiose. Certo, l’incomprensione

del messaggio di Salvezza ha un’importanza ben più significativa, ma la noia, a ben guardare, nasce

da questa incomprensione e sempre l’alimenta.

La noia, in campo religioso, nasce principalmente dalla liturgia e in essa cresce e si conferma… e

questo è un fatto grave, anzi gravissimo.

È un fatto grave, perché, come dice il Concilio Vaticano II, “la liturgia è il culmine verso cui tende

l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”.

 

Ma oggi, al cristiano, non può sfuggire la centralità fondante che dovrebbe avere la liturgia nella

vita di fede. L’affermazione del Vaticano II appare, per chi riflette, l’illuminante constatazione di

una ben più complessa realtà: la liturgia è la fonte da cui promana tutta l’energia della Chiesa.

L’incarnazione di Dio nella persona di Gesù Cristo, in un tempo e in un luogo storicamente

determinanti, aveva consentito a quanti lo incontravano per le strade della Palestina di beneficiare

della forza salvifica delle sue azioni. L’uomo nuovo, vittorioso sulla morte e sul peccato, non era

più una promessa, ma una concreta possibilità. I gesti, gli incontri, la vita di Gesù, nella loro umile

materialità, avevano una potente forza redentrice. La sua vita si manifestava come un’unica grande

liturgia.

In Lui gesto, significato ed efficacia erano inscindibili, nell’unitario orientamento verso la volontà

del Padre. Appariva così l’autentica liturgia, nella quale annuncio e avvenimento si fondevano,

rendendo possibile e chiaro l’incontro dell’uomo con Dio. Ma l’unico verso sacerdote di questo

culto spirituale era necessariamente Gesù Cristo. Per questo Egli volle assicurare la sua concreta

presenza a quanti si riunivano nel suo nome e nell’ultima cena donò loro se stesso dicendo: “Fate

questo in memoria di me”.

La liturgia è perciò “fonte energetica” quando i suoi elementi essenziali non vengono nascosti,

dimenticati, contraddetti. La liturgia cristiana non dovrebbe correre questo rischio, perché viene da

Cristo e in Lui trova fondamento. Ma esistono dei limiti, voluti e rispettati dalla stessa divinità. Uno

di questi è il contesto culturale. L’uomo valuta e si esprime secondo un sistema di valori e di

conoscenze, che caratterizzano il suo tempo. Questo limite, come spesso accade, è al tempo stesso

una ricchezza, perché consente all’uomo di comunicare, di riflettere e di modificare proprio quel

contesto nel quale è immerso e che gli fornisce gli strumenti per comprendere.

Nella liturgia cristiana la reale presenza di Cristo è imprescindibile e l’incontro con il Risorto nella

comunità è fondamentale. Ma come tutto questo si comprenda, si realizzi e si manifesti è fatto

culturale, che richiede preghiera, meditazione, studio, coinvolgimento, anche emotivo, fantasia e

carità fraterna e forse, ma solo dopo il fallimento di tutte le attività precedenti, anche autorità e

obbedienza.

Se la Chiesa, cioè il popolo di Dio, rinuncia a questo impegno collettivo, interpretando le vocazioni

e i doni dello Spirito come attività specialistiche, deresponsabilizzanti e lontane, andrà

progressivamente inaridendo la propria attività liturgica, rendendo sempre più complessa e lontana

la frequentazione del Mistero. Se invece gli elementi fondanti della buona liturgia verranno resi

familiari a tutti i credenti, se l’annuncio illuminerà l’avvenimento e l’avvenimento sarà luogo di

annuncio, se gesto, significato ed efficacia verranno compresi e correttamente utilizzati, perché

culturalmente accessibili, allora ogni ambito potrà avere la propria adeguata liturgia, frutto della

fede e della sensibilità di ogni famiglia, di ogni territorio, di ogni comunità.

Allora la Chiesa potrà affermare che la liturgia è anche il culmine verso cui tende la sua azione.

 

Il canto liturgico può essere un prezioso esempio di buona liturgia. In esso, il testo dovrebbe

illuminare uno specifico aspetto della Salvezza, lo spartito e la sua esecuzione dovrebbero portare la

comunità, emotivamente e consapevolmente, secondo i dati culturali in essa disponibili, alla

presenza del Risorto e, con la sua mediazione, all’incontro con Dio. Ma anche nel canto liturgico,

come in ogni liturgia, la perdita dell’unità e quindi dell’intenzionalità dell’azione porta al

fallimento. Se gli accordi, gli strumenti, la disposizione del coro, la scelta dei canti, l’esecuzione e il

contesto assorbono ogni attenzione, spingendo sempre più lontano, fino a vanificarla, la

frequentazione del Mistero, allora la noia, per quanti amano l’attività musicale, potrà forse essere

momentaneamente sconfitta, ma al prezzo della rinuncia di qualsiasi dimensione trascendente.

Con una lettera al prefetto della Congregazione della Fede, Papa Francesco ha aperto il ministero

del lettorato e dell’accolitato anche alle donne.

«Il lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di leggere la parola di Dio (ma non il Vangelo)

nell’assemblea liturgica… Egli potrà anche – se sarà necessario – curare la preparazione degli altri

fedeli, quali, per incarico temporaneo, devono leggere la Sacra Scrittura nelle azioni liturgiche.

Affinché poi adempia con maggiore dignità e perfezione questi uffici, procuri di meditare

assiduamente la Sacra Scrittura. Il lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto, si adoperi

in ogni modo e si valga dei mezzi opportuni per acquistare ogni giorno più pienamente il soave e

vivo amore e la conoscenza della Sacra Scrittura, onde divenire un più perfetto discepolo del

Signore» (“Ministeria Quedam” di Paolo VI).

«L’Accolito è istituito per aiutare il Diacono e per fare da ministro al Sacerdote… specialmente

nella celebrazione della Santa Messa; inoltre, distribuire, come ministro straordinario, la Santa

Comunione tutte le volte che i ministri, di cui al can 845 del CIC, non vi sono o non possono farlo

per malattia, per l’età avanzata o perché impediti da altro ministero pastorale, oppure tutte le volte

che il numero dei fedeli, i quali si accostano alla Sacra Mensa, è tanto elevato che la celebrazione

della Santa Messa si protrarrebbe troppo a lungo. Nelle medesime circostante straordinarie potrà

essere incaricato di esporre pubblicamente all’adorazione dei fedeli il Sacramento della Santissima

Eucarestia e poi di riporlo, … Potrà anche – in quanto sia necessario – curare l’istruzione degli altri

fedeli, i quali, per incarico temporaneo, aiutano il Diacono e il Sacerdote nelle azioni liturgiche…

Egli eserciterà tanto più degnamente questi compiti, se parteciperà alla Santissima Eucarestia con

una pietà sempre più ardente, si nutrirà di essa e ne acquisterà una sempre più profonda

conoscenza» (“Ministeria Quedam” di Paolo VI).

Tutto questo per volontà di Papa Francesco può essere fatto oggi anche dalle donne.

Se si legge con attenzione il motu proprio “Ministeria Quedam” di Paolo VI nel quadro della vita

della Chiesa di oggi si aprono per i laici, uomini e donne, spazi enormi per la partecipazione alla

vita liturgica.

La reazione dei fedeli laici, uomini e donne, a questi spazi aperti è stata praticamente nulla;

indifferenza. Occasione perdute. Pensiamo ai luoghi dove non è possibile avere un sacerdote per

celebrare l’eucarestia e si potrebbe fare una liturgia della parola con distribuzione dell’eucarestia

(anche da parte delle donne); pensiamo ad una Messa dove gli accoliti partono dopo la

consacrazione per andare nelle case a distribuire l’Eucarestia; pensiamo ai lettori che leggono e

preparano alla lettura i lettori occasionali.

 

Art. don Salvatore Rinaldi

Lunedì 19 Febbraio 2024

Rubrica "Fede e Società"

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