L'essere umano è un mendicante di felicità. Nella Bibbia, Dio incontra uomini che sono in cammino, e li spinge a continuare, ad andare, ad uscire. Fino ad arrivare Lui stesso uomo in cammino, uomo della strada.
"Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare o umilmente con il tuo Dio" (Mi 6,8).
Praticare la giustizia secondo la metrica di Dio, cioè stare in un giusto rapporto con gli altri, quello di chi ha cura del fratello, dell'altro. Amare con tenerezza, dal di dentro, a partire dal basso, abbassandosi.
Si tratta di un compito e di ruoli tutti da inventare, dando per scontato che incontreremo difficoltà, incidenti di percorso e anche sconfitte. Non si tratta, però, di applicare chissà quale manuale dei perfetti genitori, semplicemente perché è impossibile, una specie di imbroglio. Anzi, la regola fondamentale per affrontare il mestiere di genitore è che: non esistono in natura bravi genitori, ma soltanto genitori sufficientemente buoni.
«I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in dono, insieme col nutrimento e le cure, la conferma delle qualità spirituali dell'amore. Gli atti dell'amore passano attraverso il dono del nome personale, la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni dei sorrisi. Imparano così che la bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la nostra libertà, accetta la diversità dell'altro, lo riconosce e lo rispetta come interlocutore. [...]
E questo è amore, che porta una scintilla di quello di Dio!
Molti genitori incontrano difficoltà quando devono separarsi dal figlio all'inizio della scuola dell'infanzia. L'angoscia di separazione riguarda la quasi totalità degli esseri umani: tutti, chi più chi meno, ne sappiamo qualcosa. È abbastanza ragionevole ipotizzare che questa angoscia così fondamentale abbia molto a che fare con il modo in cui veniamo al mondo: da lattanti, abbiamo paura di essere abbandonati dalla persona che si prende cura di noi, che spesso è la madre. Non si tratta di speculazioni teoriche fondate solo su parole: basta aver osservato le reazioni di un bambino molto piccolo quando perde un po' di vista la sua mamma, magari al parco, per esserne sicuri.
Possiamo distinguere tra diversi tipi di carezze: verbali e non verbali, positive e negative, condizionate o non condizionate.
Nell'infanzia, si provano molti comportamenti diversi per scoprire quello che può soddisfare il proprio bisogno di carezze e, quando se ne scopre uno che si rivela utile, si tende a ripeterlo. Per un bambino, l'eventualità peggiore è quella di essere ignorato e, se non riceve abbastanza carezze positive, le cerca di negative. In termini educativi, le une e le altre hanno un effetto assai simile perché spingono ugualmente a riprodurre gli schemi di comportamento che le hanno prodotte.
Concretamente, possiamo scegliere di sgridare nostro figlio quando si comporta male e ignorarlo se riteniamo il suo comportamento adeguato.
«Chi sono io? Da dove vengo? Dove vado? Che senso ha la mia vita?».
Tutto il progresso tecnologico, le conquiste spaziali, lo sviluppo enorme dell'informatica, non hanno saputo rispondere alle domande che turbano il cuore dell'uomo ed esigono una risposta che possa dare pace all'inquieto roteare dei pensieri, delle aspirazioni, del bisogno profondo di essere amati, dell'esigenza di trovare un’acqua che possa, una volta per tutte, estinguere la sete che sorge dall'aridità dell'animo umano.
Quando pensiamo a Gesù, non riusciamo mai a liberarci dei preconcetti che abbiamo, a causa del nostro essere stati cresciuti come "cristiani". La cosa interessante, però, è che questi stessi preconcetti finiscono per diventare delle nozioni che abbiamo quasi imparato a memoria e il risultato porta, come è quasi giusto che sia, a ribellarci a queste ideologie che ci sembrano assurde, a rinnegare quella filastrocca che ricordiamo lettera per lettera. Quello a cui non pensiamo mai, proprio perché siamo cresciuti in un ambiente che è tale a causa sua, di Gesù, è quanto quest'uomo sia stato rivoluzionario. Gesù ha cambiato il mondo.
Le meditazioni che seguono sono tratte dalla 36' edizione della via crucis vivente cittadina organizzata dal gruppo scout Agesci di Venafro. "Essere innalzati" è l'espressione usata, di solito, per evocare l'affermazione di una persona, la sua capacità di distinguersi, di segnalarsi, di avere successo. "Essere innalzati" è dunque sinonimo di potere, di gloria, di forza.
«Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (Mt 5, 13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la Samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in lui e ad attingere alla sua sorgente zampillante di acqua viva (Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (Gv 6,51)».
Un bambino torna da scuola e chiede al padre: la maestra ha detto che l’uomo discende dalla scimmia, al catechismo invece dicono che siamo stati creati da Dio… quale è la storia vera?
Homo sapiens possiede una singola unicità nel panorama dei mammiferi e dei primati superiori. I risultati del suo progresso evolutivo – cultura, arte, tecnologia, conoscenza scientifica, pensiero filosofico – non sono condivisi da altri animali.
Da sempre il rapporto tra generazioni ha dato vita a conflitti che hanno spinto i più giovani a mettere in discussione i principi e i valori dei padri, nel desiderio di essere più liberi e mettere le basi per una società meno gerarchica. Nel ’68 del secolo scorso si inneggiò alla “morte del padre” visto come padrone, che tarpava le ali alla piena realizzazione delle aspirazioni dei figli.
La crisi della famiglia tradizionale e i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro hanno poi decostruito ancora di più la società: dalla famiglia patriarcale si è passati a quella nucleare, sempre più isolata dalle famiglie di origine, a volte residente in città diverse, con la frammentazione dei legami che, se prima erano coercitivi, ora sono assenti.
Affermare che il regno è vicino significa contrarre al limite di zero l'attesa di un evento futuro e aprire nel presente il suo effetto di speranza, di gioia, di libertà e guarigione: il cuore dell'annuncio che qui si evidenzia è l'azione di Dio che opera adesso per offrire a Israele il compimento della promessa di libertà, di presenza continuativa, di giustizia e di pace che aveva accompagnato tutto il cammino del popolo distinto.
Il Dio di cui Gesù fa esperienza, e fa sperimentare a coloro che incontra, è "colui-che-agisce-adesso", che regna ora, che estende nella realtà presente il beneficio del suo amore.
La noia gioca un ruolo importante nell’abbandono delle pratiche religiose. Certo, l’incomprensione
del messaggio di Salvezza ha un’importanza ben più significativa, ma la noia, a ben guardare, nasce
da questa incomprensione e sempre l’alimenta.
La noia, in campo religioso, nasce principalmente dalla liturgia e in essa cresce e si conferma… e
questo è un fatto grave, anzi gravissimo.
È un fatto grave, perché, come dice il Concilio Vaticano II, “la liturgia è il culmine verso cui tende
l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”.
Gli uomini moderni valutano le esperienze secondo il criterio del benessere che esse sono capaci di produrre. La vita spirituale, come rielaborazione della propria vita alla luce del Vangelo, è possibile solo nella comprensione del nesso libertà-amore.
Gesù di Nazareth, certamente il più audace dei rivoluzionari, lasciò i suoi genitori per andare ad occuparsi delle "cose del padre suo" all'età di 9 anni, senza lasciarsi intimidire dagli "anziani" che insegnavano nel tempio, e disse "la sua" fino alla fine.
La preghiera è relazione con Dio, è il veicolo del nostro dialogare, è il punto in cui si incontrano il cielo e la terra. Le grandi leggi del cielo vengono a noi. Proprio come è scritto nel Padre Nostro: come il cielo, così la terra. È il dialogo privilegiato senza veli e senza fronzoli, è ritagliare un tempo e uno spazio, di raccoglimento, di confidenza con Dio in cui la nostra anima si eleva e raggiunge l’altezza di Dio.
I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per abiti. Non abitano neppure città proprie, né usano una lingua particolare, (...) ma testimoniano uno stile di vita mirabile e, a detta di tutti, paradossale. (...) Risiedono nella loro patria ma come stranieri domiciliati (pároikoi); a tutto partecipano come cittadini e a tutto sottostanno come stranieri (xénoi); ogni terra straniera è patria per loro e ogni patria è terra straniera.
È rassegnato il nostro sguardo "adulto" verso i giovani; tanto più riguardo la "fede" dei giovani di oggi. Dobbiamo essere onesti: dal punto di vista ecclesiale e pastorale non solo spesso e volentieri li guardiamo (seppur con nostalgia) come un mondo ormai un po’ "perso" e irraggiungibile da noi (o - quanto meno - lontano da nostro modo di intendere e di vivere la fede), ma facciamo proprio fatica ad avere uno sguardo generativo, che sappia cogliere i segni della presenza di Dio dentro la storia e la vita dei giovani del nostro tempo.
Il tempo delle emozioni è il presente: ciò che sentiamo è qui e ora, l'unico tempo della vita. Stare con ciò che proviamo, piacevole o meno che sia, è l'unico modo per vivere in maniera autentica e non superficiale. Ecco perché non dovremmo solo cercare emozioni piacevoli.
Nascondere gli stati d'animo che sono meno accettati socialmente come la tristezza, l'insicurezza o la paura per mostrarsi sempre forti, allegri, sorridenti, vincenti ci fa respingere e rifiutare una parte fondamentale di noi, rendendoci banali e superficiali e rischiando di farci ammalare.
Diventare più sicuri di sé è un processo possibile a tutte le età, le ricadute immediate attiveranno un circolo virtuoso per cui man mano acquisterai sempre più fiducia in te. Preparati a scoprire il tesoro nascosto dentro di te.
Chi non crede in se stesso è portato a vedere ogni gaffe o brutta figura come la prova di limiti connaturati di fronte ai quali non rimane che rassegnarsi. La sensazione di impotenza genera una frustrazione rabbiosa che non fa altro che bloccarci ancora di più, impedendoci di sperimentare alternative.
Meglio 100 cattolici “veri” che 1000 “cristiani della domenica”! E non ci vuole nulla a far diventare cattivi anche i cristiani “natalini” e “pasqualini”.
Diceva Romano Guardini (teologo e filosofo delle religioni): La Chiesa «non è un'istituzione escogitata e costruita a tavolino... ma una realtà vivente... Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi... Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo».
Gesù ci ha insegnato ad avere un grande rispetto per ognuno, grande o piccolo, sano o malato, donna o uomo. Ciascuno si sente da lui riconosciuto, amato, valorizzato. Così, com'è, per se stesso, senza secondi fine. Nulla di ciò che è umano, fino alle incombenze più umili, è stato disprezzato. Sfigurare l'uomo, con qualsiasi pretesto, significa offendere Dio che si porta garante della sua dignità.
Prima della venuta di Cristo, regnavano le ombre, ma Egli, venendo sulla terra, ci ha portato, insieme alla Sua grazia, anche la Sua verità. E poiché Colui che è la verità in persona è sceso fra noi, anche noi, a nostra volta, dobbiamo essere veri e sinceri nel nostro rapporto con Lui. Essere veri e sinceri equivale infatti a vedere davvero, seppur con gli occhi della mente, le grandi meraviglie che Egli ha compiuto perché noi potessimo contemplarle.
Il gioco è un'esigenza dell'uomo, sia nella fase infantile sia in quella adulta, seppure nei due momenti si soddisfi in modo diverso.
Il gioco, infatti, non ha età... non è vero che la predisposizione al gioco sia esclusiva dei bambini o dei ragazzi... è un fattore che ci portiamo dentro per tutta la vita.
Non pensare più a ieri: il passato genera solamente confronti, rimpianti e rimorsi. La scommessa è sentirsi bene adesso.
Quando sei in difficoltà, ovvero proprio nel momento in cui avresti più bisogno di autostimarti, spesso ti ritrovi disorientato... In queste situazioni diventi facile presa di pensieri auto-lesivi: ti ritornano alla mente insuccessi del passato, dubiti di essere in grado di continuare a fare ciò che stai facendo, ti senti inferiore agli altri; sei sopraffatto dallo scoraggiamento.
«La preghiera è sempre viva nella vita, come fuoco di brace anche quando la bocca non parla ma il cuore parla...» (Papa Francesco)
Una santità da cercare, evitando l'asservimento agli idoli, quelli di sempre e del nostro tempo: gli idoli del consumismo, dell'avidità, del potere, del successo... Idoli che imprigionano la nostra esistenza e tolgono felicità ai nostri giorni. Solo l'amore costruisce qualcosa di stabile e duraturo nella storia degli uomini. Ho ricevuto il battesimo, ora la grazia del mio battesimo fruttifichi un cammino di santità. Che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegliere Lui, scegliere Dio sempre di nuovo. Non scoraggiamoci perché la forza dello Spirito Santo sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella mia vita.
Riconoscere che l'azione dell'essere umano ha dei limiti e che non possiamo plasmarci a nostro piacimento sembra essere una precondizione per sperimentare l'azione provvidente di Dio. Oggi è in atto un nuovo e radicale tentativo di superare le limitazioni della nostra condizione umana facendo ricorso all'innovazione tecnologica. Viene definito transumanesimo.
Come possiamo motivare una speranza in un amore divino provvidente, che trascende la violenza odierna? Chi ci aiuta a intravedere nel mondo la presenza di quel Dio-che-è-solo-amore e come possiamo scoprire la sua presenza viva?
Tutti sono invitati dalla provvidenza a scegliere l'amore, ma il modo in cui l'amore è possibile per ciascuno dipende dalle circostanze in cui si è cresciuti e da innumerevoli fattori storici dei quali Dio soltanto - nemmeno la persona coinvolta e ancor meno chiunque altro - è a conoscenza.
È noto come esista una terapia dell’abbraccio di natura psico-relazionale indirizzata alla guarigione delle ferite o dei disturbi della personalità. Il linguaggio delle carezze appartiene allo stesso tipo di terapia.
Esiste una stretta connessione tra il linguaggio delle carezze e la figura di Gesù-Medico. Grazie a Lui si è sollevati da quei mali profondi che sono i mali morali, le ferite del peccato e la loro stessa memoria; una cristoterapia che nasce dall'abbraccio carezzevole di Dio nel suo Figlio; un "abbraccio di grazia" che si fa esperienza di Dio nelle profondità del cuore umano, lo libera dalla sua condizione di morte e lo ricolma della pienezza dello Spirito Santo.
«Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi Dio», affermava Sant'Atanasio. E continuava, spiegando: «Lui stesso si è reso visibile attraverso il suo corpo, affinché abbiamo un'idea del Padre invisibile, che ha supportato l'oltraggio degli uomini affinché noi possiamo avere parte all'incorruttibilità».
Secondo la fede della Chiesa, il farsi Uomo dell'Unigenito non può essere compreso come una sorta di rivestimento, ma come un farsi umano di Dio, un umanizzarsi, entrando in prima persona nel cuore della condizione storica dell'uomo e vivendola "dal di dentro", per assumerla, purificarla ed elevata. Il Verbo si è fatto uomo, partecipe della nostra stessa pasta terrena. In Lui l'umano è diventato il luogo, il "dove", Dio si è comunicato a coloro che lo accolgono. Sta qui la grandezza della grazia come divinizzazione.
Che cosa si intende con il termine "carezza"?
Il vocabolario italiano corrisponde all'oggetto latino carus, caro, prezioso. Già sotto il profilo semantico, la carezza esprime un messaggio di riconoscimento nei confronti della persona cui è diretta, ne dice il valore e la preziosità. Per il profeta Isaia (Is 44,4) "offrire una carezza a qualcuno" è come dirgli: "Tu sei prezioso ai miei occhi, io ti stimo e ti amo".
La vita a volte pone davanti a sfide che spesso sembrano insormontabili e che mettono a dura prova l'equilibrio di ciascuna coppia, ma altre volte ci regala gioia immense che possono sostenere il legame e renderlo più forte. È di fronte a questa "sorte" che anche la coppia più affiatata o poi competente deve trovare strategie per modificarsi e negoziare nuove modalità di relazione. Credere quindi che "tutto dipenda da noi, dal nostro incastro, da quanto siamo compatibili" è un'illusione che può lasciarci smarriti, se non in crisi, quando "ciò che c'è intorno a noi" irrompe sulla scena, nel bene e nel male.
Se si è in coppia lo stress dovrebbe essere affrontato insieme, anche se riguarda uno solo dei due partner? Quali vantaggi ha l’affrontare lo stress insieme? Quando ha senso farlo?
Pensiamo a una situazione in cui uno dei due partner ha un serio problema sul lavoro e questo gli/le provoca una condizione di forte stress e incertezza. Il benessere di ciascuno e della relazione dipende da come i due partner gestiranno la sfida: da come l’uno sarà in grado di comunicare la situazione e il suo stato d’animo all’altro, e da come quest’ultimo risponderà a tale comunicazione.
Ciascuno dei partner ha fatto esperienza dell'essere figlio/a, ha quindi un modello di riferimento nei propri genitori.
Ciascun partner è portatore di relazioni e queste relazioni sono anche (e soprattutto) con la propria famiglia di origine. In virtù di questo, non ci dobbiamo quindi dimenticare che ogni coppia si definisce e trova la sua identità a partire dal confronto che ciascun partner fa (più o meno consapevolmente) con la relazione di coppia dei propri genitori. In questo continuo confronto la nuova coppia può mettere in atto diversi comportamenti più o meno funzionali e generatori, tutti volti a definire la propria identità, che non può prescindere dal confronto col tipo di coppia che sono, o sono stati i rispettivi genitori.
Ad amare si impara ogni giorno. Questo obiettivo non è semplice: occorre fare i conti con se stessi, imparare a gustare i successi e a condividere le fatiche dell'altro. Comunicare un evento positivo al partner, e avere da lui/lei una risposta che valorizzi l'evento che è stato vissuto, consente di provare emozioni positive e un più altro livello di benessere, di creare intimità e fiducia con l'altro, di star meglio insieme, di cementare il legame di coppia e di accrescere e migliorare le proprie risorse personali e relazionali.
La società ha ben certamente molto da guadagnare da un'adeguata educazione all'altruismo nelle sue varie forme e gradazioni (che non è patrimonio del solo volontariato) e questa deve partire dai primi anni di vita. Non si deve però dimenticare che uno dei principali fattori di sviluppo della socialità positiva a beneficio degli altri (del comportamento prosociale, della compassione e dell'altruismo) è l'esperienza di una sicurezza affettiva (frutto di un buon attaccamento affettivo fin dai primi anni di vita) e la presenza di modelli positivi (di amore altruistico) con i quali il bambino si possa gradualmente identificare.
Le emozioni sono preziosi messaggeri del nostro mondo interiore e per questo ci aiutano a soddisfare i
nostri bisogni e ci guidano alla realizzazione dei nostri desideri più profondi. Ma dobbiamo imparare a
comprendere il loro linguaggio e soprattutto dobbiamo viverle in modo autentico, senza giudicarle e senza
soffocarle. Nessuna emozione è buona o cattiva.
È importante capire ciò che facciamo, e perché lo facciamo, quando aiutiamo gli altri o vogliamo farlo.
È importante prendersi cura del singolo, da buoni samaritani che versano l’olio della consolazione e il vino della speranza sui feriti che incontrano lungo la strada della loro vita, ma è anche importante costruire comunità samaritane dove le persone possano fare esperienze di attenzione, tenerezza, cura e guarigione.
La cultura attuale, rimasta fin troppo prigioniera di una visione utilitaristica e materiale, ha assorbito l’idea che esista solo una socialità negativa, fatta di lotta e di sopraffazione, e non riesce più a riconoscere l’esistenza di una socialità positiva, e di rapporti di aiuto, benevolenza, conforto, compassione, comprensione, indulgenza, accettazione, tenerezza, bontà, perdono e molto altro ancora.
Dal Vangelo di Matteo, capitolo 15, versetti 22-25-28 «Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare “Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio», «si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: “Signore, aiutami!», «Gesù le replicò: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita».
In occasione del 15 Agosto, “Festa della Assunta in Cielo”, con voi medito dei testi di Tonino Bello.
In occasione del 15 Agosto, “Festa della Assunta in Cielo”, con voi medito dei testi di Tonino Bello.
In piazza San Pietro deserta il 27 marzo 2020: «In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».
La relazione di coppia è una forma di legame che realizza pienamente la relazione connaturata alla persona umana. È una relazione scelta, non data per linea genealogica. Richiede di mettersi completamente a nudo davanti a un’altra persona, di cui non ci è dato sapere fino in fondo quanto e per quanto saprà custodire ciò che le offriamo di noi. Nessun uomo è completo da solo, ma è un essere relazionale e ha quindi bisogno degli altri per poter sopravvivere e crescere. Le relazioni con le persone cui ci leghiamo diventano parte di noi e, in qualche modo, definiscono, con i loro significati (i “simboli”, appunto), aspetti del nostro carattere e dei nostri comportamenti.
Il bullismo c’è sempre stato, ma oggi purtroppo la società non propone più modelli positivi. Molti (dai 14 anni in su) potrebbero rischiare il processo penale per le azioni che compiono, ma sono ragazzi e ragazze che hanno dentro una sofferenza maggiore di quella delle vittime. Vivono il tormento che hanno respirato nel loro ambiente di vita; lo portano fuori, ma non stanno bene. Oggi c’è una maggiore consapevolezza dei genitori, se non altro perché se ne inizia a parlare. Tendenzialmente il bullismo arriva con un’aria un po' strafottente e molleggiante. Assume l’atteggiamento “io non ho bisogno di niente”.
Un giovane che diventa prete tra i venticinque e i trent’anni – o anche trentacinque – sa di aver preso una decisione che ha l’ardire di essere per tutta la vita e che non prevede – almeno nelle intenzioni, peraltro vagliate in un cammino durato anni – la possibilità di tornare sui propri passi. Se fino agli anni Ottanta del secolo scorso fare una scelta per la vita a venticinque anni aveva il sapore di un’opzione compiuta in un’età giudicata ragionevolmente adeguata, oggi il commento più spontaneo di fronte a chi fa una scelta di questo tipo è: «Com’è giovane!». A trent’anni si è ancora dei “ragazzi”. E anche a trentacinque!
La grandezza dell’amore ricevuto non solo consente al soggetto di constatare l’inadeguatezza e povertà della sua risposta, ma di farlo senza deprimersi, perché è sicuro di quell’amore, come roccia che gli dà forza e stabilità, come abbraccio che lo avvolge teneramente, come sicurezza di potersi fidare, dell’Altro e degli altri.
Nel libro di Città Nuova I giovani non sono una minaccia, anche se fanno di tutto per sembrarlo (2020), lo psicoterapeuta Alberto Rossetti scriveva: «I giovani fanno paura perché non stanno al loro posto. Solo grazie a questo loro movimento, però, una società può progredire ed evolversi».
Se per tutto il corso della vita l’essere umano continua a cambiare, l’adolescenza è la fase che in assoluto è più segnata dai cambiamenti. Quelli più evidenti riguardano il corpo e le sue sembianze esterne, ma i più rilevanti avvengono all’interno della scatola cranica, in quello straordinario organo chiamato cervello.
Durante l'adolescenza si iniziano a sperimentare tanti tipi di relazioni. Quella con i coetanei è sicuramente significativa. Tra i banchi di scuola, in palestra o nella tua band nascono le prime amicizie: in genere ci si aggrega per interessi che possono essere musicali, sportivi, riguardanti la moda o semplicemente i meme e i trend su Istagram e Tik Tok. Poi le relazioni diventano più complesse e articolate e si iniziano a considerare una o poche più persone veramente amici, che potranno esserlo per sempre, o come accade frequentemente saranno solo di passaggio. Nel rapporto con gli altri inizi a modellare anche te stesso.
L'Eucaristia è la presenza di Cristo Risorto in mezzo alla sua Chiesa, perché continui ad essere annuncio efficace di salvezza per il mondo. Come per i discepoli di Emmaus, anche per noi "spezzare il pane" diventa non solo il segno per riconoscere la presenza del Signore, ma anche la presentazione di tutto il suo mistero di salvezza. La passione, la morte e la risurrezione di Cristo non sono stati solo annunciati, ma resi visibili come segno concreto ed efficace della salvezza realizzata.
L'evoluzione delle società, soprattutto quelle occidentali, supportate dalla tecnologia, e l'avvento di una nuova cultura moderna e postmoderna hanno portato una concezione libertaria del corpo. Il corpo umano è stato liberato dal "giogo" di ogni visione. Da un lato, qualsiasi uso del corpo è consentito, tollerato: esibizione, commercializzazione, manipolazione, pornografia, soddisfazione di tutti i suoi bisogni senza una legge o un quadro stabilito, le cosiddette nascite indesiderate, la sessualità, dall'altro dalla visione del Creatore della persona umana.
L'evoluzione delle società, soprattutto quelle occidentali, supportate dalla tecnologia, e l'avvento di una nuova cultura moderna e postmoderna hanno portato una concezione libertaria del corpo. Il corpo umano è stato liberato dal "giogo" di ogni visione. Da un lato, qualsiasi uso del corpo è consentito, tollerato: esibizione, commercializzazione, manipolazione, pornografia, soddisfazione di tutti i suoi bisogni senza una legge o un quadro stabilito, le cosiddette nascite indesiderate, la sessualità, dall'altro dalla visione del Creatore della persona umana.
Possiamo e dobbiamo sfruttare la natura per soddisfare i nostri bisogni ed i nostri desideri ma nel far questo abbiamo anche il dovere di preservare, rispettare ed accrescere la sua bellezza e preservare la sua fecondità per le prossime generazioni.
L’azione umana è creativa non solo perché cambia (in meglio o in peggio) il mondo attorno a noi. L’azione cambia anche noi stessi, l’uomo che la compie, facendone un uomo migliore o peggiore. Ognuno di noi, infatti, attraverso la sua coscienza, interiorizza il mondo in cui vive e crea il suo mondo interiore mentre al tempo stesso contribuisce alla costruzione del mondo della intersoggettività umana, del comune mondo della vita. Anche in questo caso l’uomo è creatore ma non in senso assoluto.
“La Gloria di Dio è l’uomo vivente” diceva sant’Ireneo. La Chiesa di Cristo esiste per l’uomo, è il prolungamento nel tempo del mistero trinitario, perfetto in sé ma che attende che tutti ne siano parte nella gloria eterna. La passione di Dio è dunque l’uomo e la sua piena salvezza, vale a dire, la sua felicità vera, la sua piena realizzazione.
Il Dio di Gesù Cristo è un Dio Trinitario, è un Dio in Tre Persone. Per capire in che modo si possa essere insieme uno e tre, i teologi del IV e V secolo hanno dovuto ripensare il tema della relazione e, di conseguenza, della persona.
Dio si è reso conto che non bastava più la sua parola donata attraverso i profeti, ma che era tempo di rendersi visibile: di farsi carne. In Cristo. Se guardiamo al mondo di oggi, dove Dio è assente, dobbiamo constatare che anch’esso è dominato dalle paure, dalle incertezze: è bene essere uomo o no? È bene vivere o no? È realmente un bene esistere? O forse è tutto negativo? Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi, così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del “tu” a questo Dio.
Il personalismo si caratterizza per la sua proposta antropologica che vede nella persona umana una unitotalità di spirito e corpo, che ne fa un essere con valore di soggetto, non di oggetto. Questa dignità singolare si basa sullo spirito (intelligenza e volontà, coscienza e libertà) e comprende anche il corpo. Così, non solo il corpo non è riducibile a pura materia biologica, ma nelle sue manifestazioni è rivelatore e portatore di istanze valoriali e, perciò, di obblighi morali. Il corpo partecipa alla dignità inalienabile della persona: corpo soggetto e non corpo oggetto.
Dio mostra la sua fedeltà anche se l’uomo viene meno alla sua parte. Così la sua fedeltà diviene fedeltà misericordiosa. Non però una misericordia che nasce dalla compassione, ma dalla fedeltà. Dio è fedele a sé stesso e mantiene la sua parola nonostante tutto. Si tratta di una ostinata solidarietà. La pienezza della misericordia di Dio si trova in Cristo. Nel mistero pasquale… Dio ci appare per quello che è: un Padre dal cuore tenero, che non si arrende dinanzi alla gratitudine dei suoi figli ed è sempre disposto al perdono.
Che cosa possiamo sapere della creazione? Certamente ben poco perché nessun testimone era presente quando il mondo non esisteva ancora. I primi testimoni sono apparsi solo dopo la creazione del genere umano. Perciò il narratore che descrive come Dio ha creato l’universo non può essere testimone oculare, specialmente nel caso del primo racconto della creazione (Genesi1,1-2,3), racconto che inizia con le parole ben note: “All’inizio Dio creò il cielo e la terra”. In questo racconto, in effetti, Dio crea la prima coppia umana solo nel sesto giorno.
«Sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza» (cfr Gv 10,10), dice a tutti noi Gesù. Perché non sentire il grido della umanità che cerca giustizia e amore, e provare a rispondere cominciando da dove siamo, da ciò che già oggi possiamo? L’uomo aspira a grandi cose, a grandi ideali, a progetti che abbiano il respiro dell’eterno e dell’infinito, che facciano raggiungere quella pienezza umana dove la giustizia, l’uguaglianza, la fratellanza, l’amore in una parola, non sono più chimere, ma realtà palpitanti, pezzi di vita che piano piano formano l’unico disegno dell’umanità.
Benedetto XVI diceva: Non v’è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non v’è niente di più bello che conoscere lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Siamo consapevoli che ogni giorno le invocazioni risuonano in modo differente dentro di noi, ci sollecitano e suscitano interrogativi diversi, poiché si intrecciano a ciò che abbiamo concretamente vissuto quel giorno, agli incontri fatti, alle gioie provate e alle amarezze subite, agli eventi grandi e piccoli dei quali siamo stati protagonisti o testimoni. Benedetto XVI ha scritto: «Che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore?
Oggi è un mondo post-secolare: un mondo che non si pone nemmeno più il problema di Dio. Il Medioevo in Occidente ha visto l’identità tra Stato e Chiesa: uno stato, una religione. È quello che ancora oggi riscontriamo, soprattutto se lo sguardo si volge verso Oriente. Teocrazie e Chiese di Stato hanno risolto il problema al cittadino: la fede è parte integrante dell’essere membro di quella società. Le guerre di religione che hanno segnato l’Europa con fratture dolorosissime hanno portato alla tolleranza. L’unità dello Stato ammette la pluralità delle religioni.
C’è uno strano pregiudizio che serpeggia in questi ultimi anni, riassumibile più o meno con questo refrain: “i genitori hanno smesso di fare i genitori e fanno gli amici dei figli, così hanno perso di autorità e i figli sono allo sbando, viziati, iperprotetti, onnipotenti!”. Nella mia esperienza di parroco tra i ragazzi e nei gruppi di formazione per genitori riscontro l’esatto opposto: dove non c’è amicizia tra genitori e figli ci sono figli insicuri e genitori in difficoltà, dove c’è amicizia, invece, trovo figli felici e genitori soddisfatti.
Qualcuno si sente colpevolizzato, altri si difendono accusando, qualcuno addomestica la coscienza giustificandosi: son fatto così! Quando invece Dio educa il suo popolo, quando Gesù incontra le persone (i peccatori!) quando un buon educatore esercita il suo compito, fa riferimento a due elementi positivi: libertà e responsabilità. Se pensi: io sono fatto così, faccio quello che fan tutti, regali ad altri la tua persona, la tua libertà, rinunci alla parte migliore di te. La Bibbia dice che al vertice della Creazione (sesto giorno) Dio ha voluto un interlocutore libero di passeggiare con Lui, di amarlo, di offrirgli le primizie del suo vissuto.
Da qualche decina di anni fa, la fede era offerta come consolazione per le vite più sofferte, per i sacrifici e le ingiustizie che sembravano ineluttabili. Oggi non è più così. Per le ingiustizie si cerca un rimedio culturale, politico e sociale. Moltissime persone non credenti lottano per un mondo più giusto, per la salvaguardia del creato, per la liberazione di coloro che sono oppressi, e non poche volte si scandalizzano di credenti che minimizzano le ingiustizie mondiali e la violenza sul creato. Può resistere la fede nel Dio di Gesù, però, senza che la fame e la sete della giustizia impediscano di accontentarsi di spostare a chissà quando la consolazione per chi soffre?
Siamo costantemente richiamati a non cedere alle tentazioni, vale a dire a non lasciare attrarre dal male che ci si presenta sotto un profilo accattivante, ma a evitarlo riconoscendolo proprio in quanto male. È questa infatti l’essenza della tentazione: l’incapacità di riconoscere il male in quanto tale, confondendolo con ciò che solo può dare compimento alla nostra libertà e alla nostra vita: il bene. Interrogarsi sulla tentazione, è un autentico interesse riguardante il senso della nostra vita umana e le condizioni per poter condurre una vita autenticamente e pienamente realizzata.
Non sono gli eventi trascorsi a renderci infelici, ma le opinioni che continuiamo a trascinarci dietro. La famiglia è il campo in cui è stato gettato il seme da cui cresce la pianta che diventeremo, ma un albero lo riconosci dalle sue caratteristiche, non dal terreno in cui è spuntato. La vera origine dei disagi, come sempre, è dentro di noi. Qualsiasi cosa sia accaduta, è accaduta e non c’è più. Ciò che siamo e quello che proviamo non è determinato da come ci hanno trattato i genitori, ma da come noi stessi ci trattiamo, ovvero se rispettiamo le nostre caratteristiche innate e le lasciamo emergere.
Nel Sal 139 lo sguardo di Dio è stupendo e pieno di saggezza e può spingersi nei pensieri, nelle ossa, nelle viscere del credente. «Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie» (139,1-3). Nel libro di Giobbe è ancora il faccia a faccia, come nel salmo, ma qui lo sguardo di Dio è sentito come un peso e una crudeltà: «Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la saliva?» (7,19).
Teologi e psicologi possono crescere insieme, proprio in quanto teologi e psicologi, nel loro specifico. Non è possibile fare a meno del dialogo: la teologia si precluderebbe un ambito del sapere imprescindibile. Il rito non è nulla di meno di un gesto squisitamente umano, e in questo “nulla di meno” la competenza delle scienze umane è una benedizione per la teologia.
Ma la circoncisione è anche la circostanza in cui viene dato il nome al bambino, e così avvenne anche per Gesù: Giuseppe e Maria lo chiamano Jeshu’a. In realtà questo nome - che fa riferimento all’impronunciabile Nome di Dio, JHWH – è dato da Dio stesso (cfr. Lc 1,31), non dagli uomini: Gesù è un bambino che nasce per volontà e azione di Dio e, quindi, dargli il nome spetta a Dio. Jeshu’a è invocazione di salvezza («Signore, salva!)». Egli è la Parola di Dio, il Figlio vivente in Dio dall’eternità: «In principio era la Parola, la Parola era presso Dio e la Parola era Dio… E la Parola si è fatta carne e ha dimorato tra di noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria del Figlio unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità».
Gesù, nato da Maria, è il Figlio di Dio, generato nella potenza dello Spirito santo, è l’uomo che solo Dio ci poteva dare. Il bambino che nascerà sarà dunque chiamato con un Nome che indica la sua totale appartenenza a Dio e, nello stesso tempo, la missione che egli porterà a compimento vivendo a servizio degli uomini suoi fratelli: Gesù, Jeshu’a, che significa «il Signore salva» e, quindi, Salvatore. “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele” (Is 7,14), che significa Dio-con-noi. Sì, «alla pienezza dei tempi» (Gal 4,4), al compimento di tutte le promesse e le alleanze, Dio ha visitato il suo popolo in modo unico e irripetibile: si è fatto Immanu-El, Dio-con-noi, in Gesù, il Figlio della Vergine Maria, il Messia «nato dalla stirpe di David secondo la carne» (Rm 3,3).
È possibile definire Gesù? Ci hanno provato in tanti. Un grande vescovo del IV secolo d.C., Gregorio di Nazianzo, ha messo in fila ben 32 titoli di Cristo: Dio, Figlio, Immagine, Verbo, Sapienza, Verità, Luce, Forza, Amore, Spirazione, Processione, Splendore, Fattore, Re, Legge, Vita, Porta, Fondazione, Pietra, Margherita, Pace, Giustizia, Santificazione, Uomo, Servo, Pastore, Agnello, Pontefice, Ostia. Primogenito di ogni creatura, Primogenito fra i morti, Risurrezione. La storia di questi duemila anni ci presenta una sterminata pinacoteca di ritratti del Nazareno: giovane pastore nell’arte catacombale, trionfante Pantocrator bizantino, il Cristo realistico di Durer, il moribondo pienamente umano di Michel, il Cristo torturato di El Greco, il Gesù alquanto liquoroso del tardo barocco, il Cristo di Rouault, di Matisse, di Chagall.
Il primo libro della Bibbia, Genesi, scritto nel VI-V secolo a.C., inizia con «In principio Dio creò» e riporta poi due racconti della creazione. Genesi non è un libro scientifico e neppure, come pensano i creazionisti americani, un libro di storia. Non è, cioè, un resoconto dell’attività di Dio che viene dato per toglierci la bellezza di scoprire, mediante la scienza, la storia dell’universo. Quello di Genesi è un racconto simbolico che vuole farci conoscere una verità di fede: tutto è stato creato da Dio, per amore dell’uomo, sua creatura privilegiata. Il continuo progredire della scienza mostra che la realtà è molto più grande di noi.
Le emozioni sono una componente innata in ognuno di noi, sono l’espressione di una potente spinta naturale che ha origine nell’istinto di sopravvivenza. Senza queste reazioni immediate non potremmo scappare di fronte a un pericolo, non potremmo coltivare una passione o una relazione. La sorpresa ci spinge a essere curiosi verso le novità e quindi a crescere; la tristezza ci spinge ad andare oltre le esperienze dolorose. La rabbia ci difende dagli attacchi altrui e dalle ingiustizie. L’espressione mimica delle emozioni fondamentali è infatti innata, prescinde dalla cultura e dall’apprendimento per imitazione.
La parola “emozione” viene dal verbo latino “exmovere” o “emovere”, che significa “trasportare fuori” o “smuovere”. Indica un modo che viene dall’anima in risposta a stimoli esterni o interni a noi. Ogni emozione produce diversi tipi di reazione e di cambiamenti in noi, su vari livelli: cambiamenti fisiologici (accelerazione del battito cardiaco o del respiro, stomaco chiuso, sudorazione…); cambiamenti nel modo di pensare e nell’atteggiamento mentale (componente cognitiva dell’emozione); spinta all’azione (componente comportamentale). L’etimologia aiuta a comprendere meglio cosa si intenda per dominio delle proprie emozioni, che non corrisponde né alla repressione né all’annullamento emotivo. Dominio deriva da “dominus” (padrone, signore).
La gioia nasce dal fatto di aver raggiunto un bene che si desidera, un bene che sazia ogni desiderio, in ultima analisi quel bene che è Dio. Più in particolare per il credente la gioia è legata al compimento della sua volontà, o di quel progetto che Dio ha sulla vita dell’uomo. Ma la gioia è e dev’essere anche nel cammino, nella ricerca, nel modo in cui il chiamato risponde al sogno di Dio sulla sua vita, anche se non sarà ancora una gioia piena. Non vi può essere gioia laddove uno si sente costretto o fa le cose per paura o semplicemente si adegua perché… non avrebbe alternative.
La nostra è una società violenta e divisa. Nulla di nuovo. Ci siamo abituati a manomettere le cose, i legami, la nostra stessa interiorità, e a separare, classificare, costruire trincee, formare gruppi e fazioni. Maltrattiamo la natura, la devastiamo e la manipoliamo senza controllo e senza misura. Abbiamo spezzato il filo che lega le cose alla loro origine. La stessa cosa accade con le persone. Nei loro rapporti gli esseri umani si trasformano l’un l’altro in oggetti più o meno manipolabili o temibili, ben poche volte in esseri sacri. Sicché siamo propensi a ferirci, e a farlo nella stessa maniera in cui veniamo feriti.
Quali disposizioni dovremo coltivare nell’interiorità di ogni persona in crescita, per far sì che l’incarnazione del Dio di Gesù trovi un presepe in cui nascere? La fede richiede la capacità di percepire ciò che pulsa oltre ogni oggetto sensibile. Ne segue che dobbiamo aiutare bambini e ragazzi affinché imparino a esplorare il mistero di Dio nel mondo in prima persona, per conto loro. A questo fine va approvata una mistagogia adeguata a ogni tappa evolutiva. Mistagogia, nella terminologia cristiana è ciò che conduce a quell’atteggiamento che permette al credente una retta partecipazione ai misteri cristiani.
Quando c’è perdita dell’energia vitale, come nel caso della depressione, ci ritroviamo dinanzi alla solitudine. A volte è un’esperienza violenta, a volte dolorosa. Come addomesticare questa solitudine interiore, esistenziale, che temiamo tanto? Quali virtù riconoscerle? E che cosa può insegnarci? Quanti di noi non tollerano la solitudine e la concepiscono solo sotto il suo lato peggiore? I fatti sembrano darci ragione perché la solitudine abissale esiste. Dolorosa, genera un vissuto particolare: vuoto interiore, scollamento temporale, paura dell’altro (malgrado il fantasma di un incontro felice), percezione negativa di sé alimentata dal sentimento di essere abbandonati e dimenticati da tutti, soliloqui frequenti (si parla da soli).
Devi avere una grande fiducia in te, non perché sei necessariamente un individuo migliore degli altri, più affidabile, saggio o capace, ma semplicemente perché sei tu, e nessuno meglio di te può esserti alleato, volere il tuo bene, conoscere i tuoi bisogni, essere sempre presente e disponibile. Questo non è un obiettivo ideale da raggiungere, ma già una condizione naturale e fisiologica: così come ogni organo del corpo fa la sua parte perché la salute vinca sulla malattia. Ogni funzione della nostra mente (il pensiero, il giudizio, l’immaginazione, la memoria, le emozioni…) dovrebbe tendere a questo fine.
Per accettarti devi infatti prima stabilire come sei, ma questo non è possibile, perché sei un essere in perenne mutamento e ridefinizione. Volerti più bene? Essere più libero? Credere di più in te stesso? In questo modo alimenti l’idea che l’autostima sia una questione quantitativa. Ma se pensi di dover ottenere di più, allora dai per scontato di non essere abbastanza, e quindi ti condanni automaticamente alla disistima. Non puoi trovare l’autostima se la cerchi fuori di te. Dagli obiettivi, dalle illusioni (quando crederò di più in me stesso starò bene), dai programmi (devo lavorare su me stesso, devo essere un vincente), tanto più si formerà quel vuoto in cui l’autostima può affiorare e operare.
Se sulla terra ha camminato un uomo come Gesù, allora anche a noi può essere dato di «camminare come lui ha camminato» (1Gv 2,6). La sua vita è promessa di senso per la nostra vita. Il vangelo, come annuncio di bene, è in qualche modo l’oggetto per eccellenza della promessa; per analogia, ogni promessa è una forma di vangelo. Ciò nella consapevolezza che il vangelo è Gesù Cristo e la persona di Gesù è il vangelo (cf. Mc 8,35; 10,29). Dunque, Gesù è la promessa di Dio fatta buona notizia, ora e sempre. Chiediamoci perché Gesù amava la compagnia dei peccatori pubblici, preferendola a quella dei pretesi impeccabili, dei «giusti incalliti».
Riscopriamo il potere e la forza della preghiera: Il mio segreto è molto semplice: prego.
Da solo ciascuno di noi può poco, ma quel poco possiamo farlo solo noi: Potremo aggiungere solo una goccia all’oceano, ma l’oceano sarebbe con una goccia in meno senza la nostra piena risposta a Lui.
Gesù ci parla in mille modi diversi, dobbiamo solo ascoltare: Nei momenti di svago Cristo parla attraverso gli altri e nella meditazione ci parla direttamente.
A volte siamo ospiti perfetti per un’invitata che ci ruzzola addosso inopportunamente. Invadente, si insedia in noi spudoratamente; pretenziosa, anticipa il futuro (cupo, necessariamente); intrusiva, investe i nostri organi; menzognera, si fa chiamare «stress» per farci credere che arriva dall’esterno. L’angoscia viene a schiacciarci, a demoralizzarci, a farci sentire la morte… Quando giunge, pronta a impossessarsi di noi, ha come compito di allertarci sul vuoto di cui non avevamo coscienza. Il nostro dovere è dunque quello di affrontarla, senza indugiare troppo: essa si nutre infatti dei nostri dubbi; occupa ancor meglio il terreno quanto più abbiamo la sensazione di essere «svuotati».
La maggior parte della gente considera l’attesa una perdita di tempo. Forse perché la cultura nella quale viviamo fondamentalmente dice: «Su, dài! Fa qualcosa! Dimostra che sei capace di agire! Non stare lì seduto ad aspettare!». Più paura abbiamo, più penoso diventa l’aspettare. Questo è il motivo per cui l’attesa è un atteggiamento tanto impopolare per tanta gente. I personaggi che attendono hanno ricevuto una promessa: hanno ricevuto qualcosa che sta operando in loro, come un seme che ha cominciato a germogliare. Questo è molto importante. Noi possiamo veramente aspettare solo se ciò che stiamo aspettando è già cominciato per noi. Così, aspettare non è mai un movimento da niente a qualcosa.
Sappiamo tutti che bisognerebbe volersi bene. Lo abbiamo sentito dire molte volte dai nostri genitori, dagli insegnanti, da psicologi, psichiatri, maestri, tutor, personaggi televisivi. Raramente però ci è stato spiegato a cosa serve amarsi e ancora meno come si fa a mettere in pratica questo concetto che sembra tanto bello quanto astratto. Talvolta l’idea di volersi bene viene erroneamente interpretata da molte persone come sinonimo di egoismo creando così sensi di colpa per ogni scelta fatta per se stessi vivendola come “qualcosa” che toglie spazio ai doveri e agli impegni rivolti al prossimo.
Tutti nella chiesa siamo chiamati ad assumere lo stesso sguardo di tenerezza ed amore che fu Gesù. Egli, come ci ricorda Papa Francesco: «ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza accompagnando i loro passi con verità, pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio» (AL 60 Amoris Laetitia). Inoltre, come sappiamo, nel suo pellegrinare terreno Gesù ha incontrato molta gente.
Si è creata una malattia sociale terribile, forse la più pericolosa che sia mai esistita per gli uomini e le donne. La credenza che la nostra vita sia solo esterna, che l’interiorità sia del tutto secondaria, che non conti nulla, forse che neppure esista. Gli antichi ci avevano avvisato: senza il mondo interiore, se non conosciamo le “sue leggi” il peggio può solo arrivare. Esiste una Guida Interna, un Nucleo che conduce la nostra esistenza verso la sua meta? Se la risposta è sì a questa domanda, il mondo esterno diventa solo lo sfondo.
La vita può cambiare in un attimo. Ansia, tormenti e insicurezze possono svanire, lasciando spazio a un’autentica calma interiore. Tutto questo accade quando riusciamo a fare una cosa fondamentale: cambiare sguardo. Mese di Agosto, mese di vacanza, propongo un breve tratto della meditazione tenuta da Papa Francesco il 27 Marzo 2020 (Vangelo di Marco capitolo 4 versetto 38).
Il sociologo Marc Augé (Non luoghi, Elèuthera, Milano 2005), definisce il nostro tempo come l’età surmoderna. Un tempo connotato da quelli che lui chiama i non-luoghi. Oggi quelli che un tempo erano vissuti come nodi di percorrenza, di transito di persone e di circolazione di merci e di veicoli si sono trasformati in spazi di insediamento. Sono questi non-luoghi ad essere diventati paradossalmente i luoghi di residenza. Luoghi di massificazione spersonalizzati e spersonalizzanti, in cui si sfiora senza stabilire relazioni.
Notiamo che giovani, e non solo loro, sentono il bisogno di ricercare strategie per uscire dalla realtà con le varie dipendenze o almeno di sentire la realtà meno gravosa e terribile. Va sottolineato che nessuna delle strategie di moda, dall’alcol alla droga al gioco d’azzardo, sono immuni da effetti collaterali. Quindi va creato un processo culturale, prima che penale, per portare i giovani ad una vita attiva, sana, lontana dai tristi fenomeni delle famiglie distrutte, della disoccupazione, del bullismo, della discriminazione.
La sofferenza nel mondo è naturalmente un grosso ostacolo per poter continuare a credere in un Padre “buono”. Eppure c’è una possibilità per riuscire a convivere con la sofferenza ed essere felici, e continuare a credere nella bontà di Dio. Ci sono così tanti santi che hanno sofferto moltissimo, eppure hanno continuato ad affidarsi a Dio. Hanno creduto che la sofferenza che mettevano nelle mani di Dio portasse frutti, e avesse un senso. La sofferenza è assurda e deve essere combattuta.
“Sindrome del nido vuoto”, uno stato psicologico caratterizzato da tristezza, sensazione di abbandono e di inutilità, quando i figli “spiccano il volo”. Ne soffrono soprattutto le donne, perché hanno un più stretto legame emotivo coi figli. Per tradizione e necessità sono loro ad occuparsi per più tempo dei figli, anche se sono grandi. Quando se ne vanno di casa, le madri perdono questo compito e in qualche caso se ne sentono sminuite, specialmente se sono casalinghe e non hanno, o non hanno avuto, un ruolo lavorativo.
L’uomo è aggressivo di natura, la storia lo dimostra chiaramente. Non sappiamo cosa succeda al suo interno: possiamo vedere l’azione del lievito nella pasta, ma il lievito non lo vediamo. Ci sono comunque sempre più persone che si domandano concretamente dove stia andando a finire la nostra società. Non sta forse andando verso la rovina, velocemente, come una roccia che si è staccata dalla parete? Perché, dicono, non è che crolli una casa ogni tanto, sono tutte le fondamenta a cadere.
Il gioco è un’attività presente nell’uomo e nell’animale fin dalla nascita, ed ha una funzione specifica: essere piacevole, divertente, gratificante, e cioè capace di facilitare l’acquisizione di importanti capacità personali e sociali. Inoltre favorisce (ad esempio negli sport) la possibilità di sperimentare la propria abilità, di entrare in rapporto con gli altri, di confrontarsi con il rispetto delle regole, di vivere la competitività, l’autoaffermazione, la perdita, la frustrazione
La felicità non è un lusso, è un dovere. Siamo sollecitati alla felicità dalla società attuale, che stimola il nostro desiderio verso qualcosa di nuovo e di bello. La felicità è frutto della gioia interiore. Non sai da dove viene. Te la trovi dentro: la gioia di esistere, di vivere; la gioia di comunicare e di non essere soli; la gioia dell’amore e della pace; la gioia del dovere compiuto e del servizio; la gioia esigente del sacrificio e del successo.
Discutere è una cosa assolutamente normale nella vita di coppia e i disaccordi sono una parte inevitabile delle relazioni d’amore solide e di lungo corso. Pertanto non drammatizziamoli e non consideriamoli segni di incompatibilità o di un’imminente rottura. Al contrario, se gestiti efficacemente, aiutano entrambi a riflettere sui possibili errori compiuti, spingendoci ad agire in modo diverso in una eventuale lite futura.
La chiesa come comunità di fede deve domandarsi in modo autocritico perché mai persone interessate alla religione cercano le risposte alle loro domande al di fuori della chiesa. Perché perdiamo l’anticipo di fiducia? La sfida permanente è pertanto la seguente: come possiamo trasmettere nel nostro tempo il messaggio di Gesù agli uomini come un’offerta valida? Ci troviamo di fronte a un bivio.
La posizione di papa Francesco sul tema ambientale appare nel suo pontificato fin dall’adozione del nome, Francesco, in omaggio al santo di Assisi, patrono dell’ecologia, poi con l’enciclica Laudato sì, e infine con la celebrazione del sinodo per l’Amazzonia – il primo sinodo nella storia della chiesa a riferirsi a un ecosistema con probabilmente la maggior quantità di forme di vita sulla terra. L’Amazzonia è il più grande bioma di foreste tropicali del pianeta, con un’impressionante risorsa idrica, dimora ancestrale di molti popoli originari dell’America del Sud e luogo di confluenza di molte culture provenienti da altri continenti.
La posizione di papa Francesco sul tema ambientale appare nel suo pontificato fin dall’adozione del nome, Francesco, in omaggio al santo di Assisi, patrono dell’ecologia, poi con l’enciclica Laudato sì, e infine con la celebrazione del sinodo per l’Amazzonia – il primo sinodo nella storia della chiesa a riferirsi a un ecosistema con probabilmente la maggior quantità di forme di vita sulla terra.
A differenza degli animali, gli uomini non hanno istinti, che sono risposte rigide a uno stimolo, ma solo pulsioni a meta indeterminata, per cui a una pulsione aggressiva possiamo assegnare una meta che si esprime nella violenza, così come possiamo assegnargliene una che si traduce in una seria presa di posizione. Allo stesso modo, a una pulsione erotica possiamo assegnare una meta sessuale, così come possiamo sublimarla e metter capo a una composizione poetica o a un’opera d’arte.
Come si può dire che l’essere umano non vale nulla quando Dio stesso si muove per venire a lui? Gesù ci ha insegnato ad avere un grande rispetto per ognuno, grande o piccolo, sano o malato, donna o uomo. Ciascuno si sente da lui riconosciuto, amato, valorizzato. Così com’è, per se stesso, senza secondi fini. Nulla di ciò che è umano, fino alle incombenze più umili, è stato disprezzato. Sfigurare l’uomo, con qualsiasi pretesto, significa offendere Dio che si porta garante della sua dignità.
Come si può dire che l’essere umano non vale nulla quando Dio stesso si muove per venire a lui? Gesù ci ha insegnato ad avere un grande rispetto per ognuno, grande o piccolo, sano o malato, donna o uomo. Ciascuno si sente da lui riconosciuto, amato, valorizzato. Così com’è, per se stesso, senza secondi fini. Nulla di ciò che è umano, fino alle incombenze più umili, è stato disprezzato. Sfigurare l’uomo, con qualsiasi pretesto, significa offendere Dio che si porta garante della sua dignità.